tag:blogger.com,1999:blog-66697255843905085422024-02-21T00:58:58.304+01:00Leasing LexStudi sul contratto di locazione finanziariaLullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comBlogger76125tag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-31352486205588881042019-12-07T15:30:00.000+01:002020-01-23T15:32:42.808+01:00Cass. Civ., Sez. III, 22/11/19, n. 30520<div style="text-align: justify;">
<i>"In tema di condizione di procedibilità relativa all'esperimento della mediazione D. Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, il riferimento della norma ai contratti "bancari e finanziari" contiene un chiaro richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel TUB (D. Lgs. n. 385 del 1993), nonché alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al TUF (D. Lgs. n. 58 del 1998), sicché non è estensibile alla diversa ipotesi del leasing immobiliare, anche se, nelle varie forme, allo stesso sono coessenziali finalità di finanziamento, specificamente funzionali, però, all'acquisto ovvero alla utilizzazione dello specifico bene coinvolto (Cass. 15200/2018)".</i></div>
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Svolgimento del processo</div>
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La società ricorrente godeva di un leasing immobiliare, quanto ad alcuni locali che Unicredit leasing le aveva concesso in godimento.</div>
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Unicredit ha agito verso la società ricorrente per la risoluzione per inadempimento di tale contratto di leasing con ricorso per procedimento sommario ex art. 702 c.p.c., facendo valere una clausola risolutiva espressa.</div>
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La società si è costituita, eccependo l'irritualità della procedura e, nel merito, la non gravità dell'inadempimento.</div>
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Il giudice di primo grado ha accolto la domanda, e tale decisione è stata integralmente confermata in appello.</div>
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Ricorre la società con tre motivi. V'è controricorso di Unicredit, nonché memorie di entrambe le parti.</div>
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Motivi della decisione</div>
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1.- La sentenza impugnata conferma la decisione di primo grado, quanto alla non applicabilità alle controversie come quella in oggetto del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto a pena di improcedibilità per le controversie in materia di operazioni bancarie e finanziarie.</div>
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Nel merito, ha ritenuto risolto di diritto il contratto, essendosi la Unicredit avvalsa della clausola risolutiva espressa.</div>
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2.- La società Star srl, già concessionaria del bene immobile, ricorre con tre motivi.</div>
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I primi due possono esaminarsi congiuntamente, in quanto il primo lamenta violazione della L. n. 28 del 2010, art. 5, mentre il secondo lamenta violazione dell'art. 1936 c.c..</div>
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Secondo la ricorrente il tentativo di conciliazione previsto dall'art. 5 sopra citato per le controversie relative ai contratti assicurativi, bancari e finanziari, si applica anche ai contratti di leasing immobiliare, con la conseguenza che, non essendo invece stato esperito, rende improcedibile la domanda.</div>
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La corte di appello, non avendo rilevato tale improcedibilità sarebbe incorsa nella violazione di legge suddetta, e ciò a maggior ragione in quanto ha scambiato il contratto in questione (leasing immobiliare) con un contratto di fideiussione, censura questa fatta valere con il secondo motivo di ricorso.</div>
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I motivi, connessi l'un l'altro, sono infondati.</div>
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Invero, <b>in tema di condizione di procedibilità relativa all'esperimento della mediazione D. Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, il riferimento della norma ai contratti "bancari e finanziari" contiene un chiaro richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel TUB (D. Lgs. n. 385 del 1993), nonché alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al TUF (D. Lgs. n. 58 del 1998), sicché non è estensibile alla diversa ipotesi del leasing immobiliare, anche se, nelle varie forme, allo stesso sono coessenziali finalità di finanziamento, specificamente funzionali, però, all'acquisto ovvero alla utilizzazione dello specifico bene coinvolto (Cass. 15200/2018).</b></div>
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Resta assorbito il secondo motivo, che può valere al più ad indurre una correzione della motivazione, laddove anziché riferirsi al contratto di leasing si riferisce al contratto di fideiussione. Ma si evince dal resto della motivazione che la corte di merito si sta occupando di un contratto di leasing per l'appunto e non di fideiussione.</div>
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3.- Con il terzo motivo si lamenta omesso esame di un fatto controverso e decisivo, ossia quello relativo alla gravità dell'inadempimento, che la corte avrebbe dovuto esaminare e giudicare prima di dichiarare risolto il contratto, e che invece non ha valutato.</div>
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Il motivo è inammissibile, ed altresì infondato.</div>
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E' inammissibile perché il ricorrente non dichiara affatto di avere posto la questione espressamente, ossia di avere sollevato l'eccezione di non gravità dell'inadempimento; ed anzi, sembrerebbe il contrario dalla motivazione della sentenza, la quale riferisce come unica doglianza la contestazione che la lettera mandata da Unicredit potesse valere come risoluzione di diritto.</div>
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Nel merito va considerato che Unicredit si è avvalsa della clausola risolutiva espressa che, come è noto, predetermina la rilevanza dell'inadempimento. Essendo dunque un caso di risoluzione di diritto, non v'era da occuparsi della gravità dell'inadempimento, bensì dell'effettivo operare della risoluzione, per via della manifestazione della parte adempiente. E di tale aspetto la corte si è occupata.</div>
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Il ricorso va pertanto rigettato, e le spese poste a carico di parte ricorrente.</div>
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P.Q.M.</div>
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La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessive 6800,00 Euro, oltre 200,00 Euro per spese generali. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-54717422549178425182019-12-03T09:42:00.000+01:002019-12-03T09:42:24.414+01:00Cass. Civ. Sez. III, 31/10/2019, n. 27999<div style="text-align: justify;">
<i>"In tema di scioglimento per mutuo consenso, ai sensi dell'art. 1372 c.c., comma 1, del contratto di leasing traslativo, non trovano applicazione - neppure analogica - la disciplina legale o contrattuale della risoluzione per inadempimento imputabile all'utilizzatore, atteso che i contraenti hanno valutato confacente ai propri interessi non dare ulteriore seguito alla esecuzione del rapporto obbligatorio, ritenendosi soddisfatti dalla parziale attuazione del contratto. In tal caso il contratto solutorio puro - che non contenga ulteriori disposizioni concernenti il rapporto estinto - produce quale unico effetto quello della liberazione delle parti contraenti dall'obbligo di eseguire le ulteriori prestazioni ancora dovute in virtù del precedente contratto"</i></div>
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Svolgimento del processo</div>
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La Corte d'appello di Milano, con sentenza in data 16.6.2017 n. 2682, ha rigettato l'appello principale proposto da M.L., titolare della ditta individuale MDA Stampi ed ha parzialmente accolto l'appello incidentale proposto da Mediocredito Italiano s.p.a., confermando la pronuncia di prime cure che aveva dichiarato infondata la domanda principale del M. volta ad ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento della locatrice e la condanna alla restituzione di tutti i canoni nonché al risarcimento del danno, ed aveva invece accolto la domanda subordinata di svincolo del pegno costituito dal M. a favore della concedente.</div>
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La Corte distrettuale ha rilevato che:</div>
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a seguito del mancato pagamento dei canoni di leasing immobiliare da parte della ditta individuale utilizzatrice, le parti avevano sottoscritto, in data 14.4.2009, un accordo inteso a disciplinare la prosecuzione del rapporto, con svincolo parziale del pegno costituito a favore della concedente a copertura dei canoni insoluti maturati fino al 31.3.2009 il contratto era stato risolto consensualmente a maggio 2010, avendo l'utilizzatrice, con l'assenso della concedente, restituito il bene immobile e cessato il pagamento dei canoni non poteva trovare applicazione al contratto di risoluzione per mutuo consenso l'art. 1526 c.c. difettando il presupposto di un "indebito vantaggio" conseguito dalla società locatrice la quale oltre alla restituzione del bene aveva trattenuto i canoni versati a titolo di "indennizzo" per il godimento del bene esercitato "medio tempore" dalla ditta individuale, corrispondendo tale importo al valore locativo dell'immobile, come emerso dalla c.t.u. svolta in primo grado la prevalente soccombenza del M. sulla domanda principale legittimava la compensazione delle spese di lite, nella diversa misura del 50%, in riforma del relativo capo della sentenza di prime cure, con conseguente condanna del M. al rimborso dell'ulteriore metà a favore della società di leasing. La sentenza di appello, non notificata, è stata ritualmente impugnata da M.L. n.q. di titolare della ditta individuale MDA Stampi, con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrato da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..</div>
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Resiste con controricorso la intimata Mediocredito Italiano s.p.a., e con lo stesso atto ha spiegato intervento volontario INTESA San Paolo PROVIS s.p.a., assistita dai medesimi difensori, allegando che nelle more risulta trasferito all'interveniente il rapporto oggetto di controversia, in virtù di atto di scissione parziale in data 22.9.2015.</div>
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Motivi della decisione</div>
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1. Questioni pregiudiziali.</div>
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1.1 La eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione notificato in via telematica, per mancanza di firma digitale del difensore, è palesemente infondata.</div>
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Come emerge chiaramente dalla "firma autografa" apposta in calce al ricorso e dalla estensione del formato digitale (.pdf) con il quale l'atto è stato trasmesso, risulta evidente che nella specie trattasi non di un atto nativo digitale, ma di un atto, originariamente redatto in formato analogico e regolarmente sottoscritto dal difensore, che è stato, successivamente, riprodotto in formato digitale e quindi trasmesso per la notifica in via telematica ex lege n. 53/1994 all'indirizzo PEC del difensore della parte intimata, in allegato al messaggio di posta elettronica, unitamente alla procura ed alla relata di notifica (contenente l'attestazione di conformità all'originale degli atti trasmessi), atti questi ultimi che recano la firma digitale del notificante, in quanto redatti "ab origine" in formato digitale.</div>
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Risulta, dunque, pienamente rispettato il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione prescritto dall'art. 365 c.p.c., dovendo ribadirsi il principio secondo cui "ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 3, e art. 6, comma 1, come modificata dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, per la regolarità della notifica del ricorso per cassazione costituito dalla copia informatica dell'atto originariamente formato su supporto analogico, non è necessaria la sottoscrizione dell'atto con firma digitale, essendo sufficiente che la copia telematica sia attestata conforme all'originale, secondo le disposizioni vigenti "ratione temporis" (nella specie, D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 22, comma 2)." (cfr. Corte cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 26102 del 19/12/2016; id. Sez. 3, Ordinanza n. 7904 del 30/03/2018, entrambe richiamate nella memoria illustrativa dal ricorrente).</div>
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1.2 Preliminarmente deve essere dichiarato, inoltre, inammissibile l'intervento volontario spiegato da INTESA San Paolo PROVIS s.p.a. in qualità di successore a titolo particolare, essendo stato proposto il controricorso dal soggetto dante causa, da ritenersi quale parte esclusivamente legittimata a partecipare al giudizio di legittimità avente ad oggetto la verifica della conformità a diritto della sentenza impugnata e non l'accertamento del rapporto di diritto sostanziale. Va ribadito al proposito il principio di diritto secondo cui il successore a titolo particolare nel diritto controverso può tempestivamente impugnare per cassazione la sentenza di merito, ma non anche intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa, riguardante la disciplina di quell'autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione a quel giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono quelle che hanno partecipato al giudizio di merito (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 5759 del 23/03/2016; id. Sez. 1, Sentenza n. 11638 del 07/06/2016; id. Sez. 5 -, Ordinanza n. 33444 del 27/12/2018).</div>
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2. Esame dei motivi del ricorso proposto da M.L..</div>
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2.1 Primo motivo: violazione dell'art. 1526 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.</div>
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Sostiene il ricorrente che ha errato la Corte d'appello ritenendo inapplicabile alla fattispecie la norma di cui all'art. 1526 c.c., sul presupposto che la "ratio legis" fosse quella di evitare che il concedente possa conseguire dalla risoluzione del contratto un "indebito vantaggio", realizzando con il trattenimento dell'intero importo dei canoni dovuti ed il mantenimento della proprietà del bene (tenuto conto altresì degli altri oneri e spese fatte gravare sul concedente -non come erroneamente indicato in sentenza sull'utilizzatore-per consentire l'acquisto del bene, nonché del valore commerciale residuo del bene al tempo della risoluzione) un risultato ancora più favorevole di quello altrimenti atteso dalla regolare attuazione del contratto, ipotesi non verificatasi nel caso in esame, non essendo pertanto necessario correggere "una situazione di squilibrio tra le parti": afferma il ricorrente che, in tal modo, la Corte territoriale non avrebbe fatto corretta amministrazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di legittimità che, a suo dire, indicavano come la applicazione analogica di tale norma al contratto di leasing traslativo fosse del tutto indipendente dalla verifica in concreto di "illegittime sperequazioni tra le parti", non dovendo quindi il Giudice di merito procedere ad alcun accertamento dell'effettivo assetto delle posizioni delle parti risultanti dalla esecuzione del contratto.</div>
<div style="text-align: justify;">
2.2 Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 1458 c.c., sostenendo che in ogni caso -anche a prescindere dalla applicazione dell'art. 1526 c.c.- la Corte d'appello avrebbe dovuto fare ricorso alla disciplina ordinaria dettata dall'art. 1458 c.c. per il caso della risoluzione per inadempimento, estendibile analogicamente anche alla risoluzione del contratto per mutuo consenso, con conseguente obbligo per il concedente di restituzione di tutti i canoni versati.</div>
<div style="text-align: justify;">
2.3 Con il terzo motivo la sentenza di appello viene impugnata per vizio di omessa valutazione di "fatto decisivo" ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver considerato la Corte territoriale che sussisteva la prova del versamento alla società concedente, per tutto il periodo di durata del leasing e fino al mese di marzo 2009, dei canoni per l'importo complessivo di Euro 569.901,12 (importo non contestato da Mediocredito Italiano s.p.a.) e che pertanto, ove tale circostanza di fatto fosse stata debitamente rilevata, si sarebbe con certezza pervenuti ad un diverso risultato nella ponderazione degli "indebiti vantaggi" acquisiti dalla concedente a seguito del mutuo scioglimento del contratto, risultando il pagamento del predetto importo del tutto sproporzionato rispetto al "normale" risultato utile che la stessa concedente si era prefissa dalla attuazione del programma negoziale.</div>
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2.4 Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto, una volta fornita da parte dell'utilizzatore la prova dello scioglimento consensuale del contratto e dell'importo corrisposto fino a tale momento a titolo di canoni comprensivi anche delle rate del prezzo di acquisto dell'immobile, spettava alla società concedente fornire la prova dell'ammontare del compenso per l'uso del bene per il periodo di durata del contratto, da detrarre dall'importo globale dei canoni che, per la residua parte andavano restituiti in ogni caso all'utilizzatore.</div>
<div style="text-align: justify;">
3. Occorre premettere che nonostante le lacunose esplicazioni fornite dalle parti e la carente descrizione dei fatti ricavabili dalla sentenza impugnata in ordine alla fattispecie concreta, dal ricorso possono, comunque, desumersi incontestati i seguenti elementi fattuali:</div>
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- il contratto di leasing aveva ad oggetto la locazione finanziaria di un immobile, il cui valore di acquisto era pari ad Euro 1.482.000,00 oltre Iva, con un canone di "entrata" pari ad Euro 285.600,00 e n. 179 rate mensili di Euro 8.280,17 ciascuna. L'opzione finale di acquisto della proprietà prevedeva una "rata finale" di Euro 258.600,00 su un residuo valore commerciale del bene non inferiore ad Euro 1.200.000,00: tali circostanze, dedotte con l'atto introduttivo, non risultano essere state oggetto di contestazione, non essendo venute in questione nell'accertamento svolto dai Giudici di merito:</div>
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- il contratto stipulato in data 1.6.2007 ed assistito da garanzie personali e reali (pegno di titoli) si è sciolto per mutuo consenso nel maggio 2010, con la restituzione dell'immobile: fino al marzo 2009 la ditta MDA Stampi aveva corrisposto canoni per l'importo di Euro 569.901,12;</div>
<div style="text-align: justify;">
- il giudizio è stato intrapreso dall'utilizzatore che ha formulato, in via principale, domanda di risoluzione del contratto per pregresso inadempimento imputabile a colpa della concedente con condanna al risarcimento del danno ed alla restituzione di tutti i canoni versati, nonché in via subordinata, in caso di ritenuto scioglimento consensuale del contratto, domanda di condanna alla restituzione di tutti i canoni versati oltre la revoca del pegno; la società concedente, a sua volta, ha proposto domanda riconvenzionale volta a dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento colpevole dell'utilizzatore, con condanna al rilascio dell'immobile.</div>
<div style="text-align: justify;">
3.1 Tanto premesso dalla lettura del ricorso emerge che il Tribunale aveva accertato lo scioglimento del contratto per mutuo consenso ed aveva rigettato la domanda di condanna alla restituzione di tutti i canoni, ritenendo applicabile l'art. 1526 c.c. soltanto alla ipotesi di risoluzione per inadempimento.</div>
<div style="text-align: justify;">
La Corte d'appello ha, invece, dato per scontata la applicazione della norma anche alla ipotesi di risoluzione consensuale, tuttavia escludendo che ricorressero nella fattispecie concreta i presupposti applicativi della stessa, difettando la prova di un indebito vantaggio della società concedente nel trattenere i canoni già versati ed ottenere la restituzione dell'immobile.</div>
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3.2 Orbene, fermo il consolidato orientamento giurisprudenziale -che non ha subito rimeditazioni neppure dopo l'introduzione nell'ordinamento -tramite il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 59 - della L. Fall., art. 72 quater (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 8687 del 29/04/2015), per cui il contratto di leasing finanziario può atteggiarsi diversamente secondo che si venga a configurare in base agli accordi delle parti come leasing di puro godimento (in tal senso l'impiego temporaneo da parte dell'utilizzatore esaurisce la funzione economica del bene: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 13418 del 23/05/2008) o invece come leasing cd. traslativo (in tal, caso la durata del contratto è predeterminata solo in funzione dell'ulteriore differito trasferimento del bene e della rateizzazione del prezzo d'acquisto, caratterizzandosi l'operazione negoziale per il fatto di avere ad oggetto beni atti a conservare, alla scadenza del rapporto, un valore residuo superiore all'importo convenuto per l'opzione, cosicchè i canoni hanno la funzione di scontare anche una quota del prezzo di previsione del successivo acquisto: cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 4969 del 02/03/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 13418 del 23/05/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 73 del 08/01/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 19287 del 10/09/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 19732 del 27/09/2011) e ribadito il principio di diritto secondo cui soltanto alla seconda figura negoziale trova applicazione (in via analogica, in assenza di diversa pattuizione dei contraenti: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 73 del 08/01/2010; id. Sez. 1, Sentenza n. 2538 del 09/02/2016; id. Sez. 5 -, Sentenza n. 8110 del 29/03/2017) lo statuto della vendita con riserva della proprietà e, dunque, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore anche le disposizioni dell'art. 1526 c.c., da ritenersi inderogabili "in pejus" (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 19732 del 27/09/2011), osserva il Collegio che, alla stregua delle indicate premesse in fatto, la tesi difensiva prospettata dal ricorrente con i primi quattro motivi di ricorso -che per la stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente- è da ritenersi palesemente destituita di fondamento.</div>
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3.3 Contraria a diritto è l'affermazione secondo cui il Giudice, nell'applicazione della norma di cui all'art. 1526 c.c., deve prescindere dal concreto assetto negoziale degli interessi risultante dal contratto e dalla sua esecuzione. E' appena il caso di evidenziare, al proposito, come lo stesso art. 1526 c.c., al comma 2, richiamato espressamente dal comma 3, riservi alle parti contraenti ampi margini di discrezionalità nella definizione degli accordi restitutori in caso di risoluzione del contratto per inadempimento imputabile a colpa dell'utilizzatore, anche in deroga alla disciplina del comma 1, riconducendoli -secondo la interpretazione che ne ha fornito questa Corte-nella facoltà di stipula di una clausola penale, in relazione alla quale al Giudice è conferito il potere di "reductio ad aequitatem" della indennità convenuta. Lo stesso comma 1 dell'art. 1526 c.c. individua un criterio di contemperamento fondato sulla valutazione del risultato negoziale programmato dalle parti, andato deluso dalla anticipata risoluzione del contratto, dovendo bilanciarsi l'obbligo di restituzione delle rate versate con l'"equo compenso" che l'utilizzatore è tenuto a corrispondere al concedente per il godimento del bene.</div>
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Rimane quindi destituita di fondamento, alla stregua della stessa lettura delle disposizioni dell'art. 1526 c.c., la tesi principale del ricorrente secondo cui la risoluzione del contratto di leasing traslativo imporrebbe sempre e comunque la integrale restituzione di tutti i canoni corrisposti dall'utilizzatore.</div>
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3.4 Il dedotto vizio di errore nell'attività di giudizio deve ritenersi infondato anche in relazione alla censura svolta in grado subordinato con la quale si contesta al Giudice di merito di aver confuso la funzione riconosciuta da questa Corte di legittimità alla norma di cui all'art. 1526 c.c., comma 2, intesa al controllo mediante la "reductio ad aequitatem" della "indennità" pattuita in forma di clausola penale con la definitiva acquisizione -in deroga al comma 1-di tutte le rate dei canoni già versate al locatore (lessor), con la diversa funzione, che prescinde del tutto da quella risarcitoria, da riconoscere, invece, alla norma di cui all'art. 1458 c.c., comma 1, -applicabile secondo il ricorrente anche al contratto di leasing traslativo- volta a riequilibrare la originaria posizione delle parti contraenti, tenendo conto delle prestazioni "medio tempore" eseguite.</div>
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3.5 Orbene non è dubitabile che il controllo del Giudice, rivolto ad impedire illegittime locupletazioni e sperequazioni del concedente in danno dell'utilizzatore, trova giustificazione laddove le parti contraenti abbiano pattuito, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, condizioni che determinino un risultato sproporzionato a favore del contraente-concedente adempiente rispetto al vantaggio consistente nel margine di guadagno che lo stesso si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (cfr. Corte cass. Sez. 3, Ordinanza n. 18326 del 12/07/2018, richiamata nella motivazione della sentenza di appello).</div>
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Nel caso di specie, tuttavia, una volta rigettate entrambe le domande di risoluzione del contratto di leasing per inadempimento colpevole, reciprocamente formulate dalle parti, ed accertato che il contratto si era invece sciolto per mutuo consenso, non vi era alcuna necessità di procedere al controllo di eventuali sperequazioni determinate a seguito di clausole di risarcimento forfetario del danno, risultando negata alla radice la stessa responsabilità per colpa dell'utilizzatore per danno patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 1218 c.c., presupposto indefettibile per dare corso alla applicazione dell'art. 1526 c.c., nè peraltro veniva in questione la necessità di procedere al predetto controllo giudiziale di un eventuale "indebito vantaggio" in relazione alla entità dell'"equo compenso" dovuto per il godimento dell'immobile, atteso che le parti nel definire consensualmente lo scioglimento del rapporto non avevano convenuto in proposito alcuna clausola intesa a scindere, nell'ambito delle rate versate, la componente relativa al prezzo di acquisto da quella concernente il godimento del bene, prevedendo un obbligo restitutorio della prima (fatto incontroverso).</div>
<div style="text-align: justify;">
3.6 Del tutto inconferente è, pertanto, anche la invocazione delle Condizioni generali di contratto da parte della società resistente per sostenere la irripetibilità dei canoni riscossi: indipendentemente dalla mancata indicazione del luogo processuale in cui è dato rinvenire tale documento contrattuale (non essendo consentito verificare se e quando lo stesso sia stato ritualmente prodotto nel giudizio), ed indipendentemente dal rilievo che, da quanto emerge dalla parziale trascrizione delle C.G. nel controricorso (pag. 16), il documento in questione riguarderebbe tale società "CALIT" estranea al presente giudizio, è appena il caso di osservare come la clausola che pone l'obbligazione a carico dell'utilizzatore di corrispondere i "canoni periodici non ancora maturati ed il prezzo pattuito per l'esercizio della opzione di acquisto finale" (con la misura riequilibratrice dell'attribuzione all'utilizzatore del netto ricavato dalla vendita o dalla ricollocazione sul mercato del bene) è prevista in funzione del "risarcimento dell'ulteriore danno patrimoniale", e dunque presuppone la risoluzione del contratto per inadempimento imputabile a colpa dell'utilizzatore, risultando quindi inapplicabile alla fattispecie di scioglimento del contratto per mutuo consenso. In tema di risoluzione consensuale del contratto, infatti, il mutuo dissenso, realizzando per concorde volontà delle parti la ritrattazione bilaterale del negozio, dà vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario: pertanto, dopo lo scioglimento, le parti non possono invocare cause di risoluzione per inadempimento relative al contratto risolto giacchè ogni pretesa od eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solutorio e non su quello estinto (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 17503 del 30/08/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 18859 del 10/07/2008).</div>
<div style="text-align: justify;">
3.7 Inconferente risulta, parimenti, il riferimento contenuto nella sentenza di appello - per sostenere l'assenza di un indebito vantaggio conseguito dal "lessor" - al precedente di questa Corte cass. Sez. 3, Ordinanza n. 18326 del 12/07/2018, nel quale veniva in questione, per l'appunto, la diversa ipotesi in cui, a fronte della risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell'utilizzatore, i contraenti avevano stipulato apposita clausola con la quale la parte inadempiente era tenuta, oltre che alla immediata restituzione del bene anche a corrispondere "a titolo di risarcimento dei danni, un importo pari alla somma dei canoni che sarebbero maturati dalla data di risoluzione fino alla data della scadenza della locazione finanziaria e del prezzo di acquisto dovuto dall'utilizzatore alla fine della locazione finanziaria, con attualizzazione dei canoni secondo i criteri contrattuali" (Corte cass. 18326/2018, in motivazione).</div>
<div style="text-align: justify;">
La Corte territoriale, estendendo il proprio accertamento alla questione della inesistenza di un "indebito vantaggio" della concedente, ha operato una verifica del tutto superflua ed inutile, in quanto non richiesta nel caso di risoluzione del contratto per mutuo consenso, trattandosi di verifica da compiere esclusivamente in relazione agli effetti dell'inadempimento colpevole dell'utilizzatore, come espressamente indicato nell'art. 1526 c.c.: soltanto in presenza di quest'ultima fattispecie risolutoria trova infatti applicazione la norma volta a ripristinare le originarie posizioni delle parti contraenti attraverso la restituzione all'utilizzatore delle rate versate ed il riconoscimento al concedente del diritto all'equo compenso per l'uso del bene, comprensivo della remunerazione del godimento del bene, del deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e del logoramento per l'uso, (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 73 del 08/01/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 19287 del 10/09/2010; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 29020 del 13/11/2018).</div>
<div style="text-align: justify;">
3.8 Errata è, pertanto, la conclusione cui perviene la Corte d'appello in ordine alla applicabilità dell'art. 1526 c.c. anche nella ipotesi di "risoluzione consensuale" del contratto di leasing, errore mutuato dall'impreciso aggettivo "consensuale", riferito alla risoluzione del contratto di leasing traslativo, estratto da un passaggio motivazionale del precedente di questa Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 8687 del 29/04/2015 (erroneamente riportato nella sentenza impugnata con il n. 8697/2015), che aveva ad oggetto la diversa questione risolta, con il principio di diritto compendiato nella seguente massima elaborata dal CED della Corte Suprema: "L'introduzione nell'ordinamento, tramite la D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 59, della L. Fall., art. 72 quater non consente di ritenere superata la tradizionale distinzione tra leasing finanziario e traslativo, e le differenti conseguenze (nella specie, l'applicazione in via analogica dell'art. 1526 c.c. al leasing traslativo) che da essa derivano nell'ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore". Una attenta lettura della predetta sentenza, unitamente alla disamina della consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di leasing finanziario di godimento e traslativo, avrebbe infatti consentito di sgombrare ogni equivoco sul punto, posto che l'oggetto della controversia esaminato nella predetta decisione, così come l'oggetto di tutti i precedenti di legittimità (Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 65 del 07/01/1993; id. Sez. 3, Sentenza n. 73 del 08/01/2010; id Sez. 3, Sentenza n. 19287 del 10/09/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 19732 del 27/09/2011) da quella richiamati a supporto della affermazione per cui la disposizione dell'art. 1526 c.c. -pur dopo la novella della legge fallimentare - continuava a trovare applicazione analogica esclusivamente con riferimento al contratto di leasing traslativo, concerneva sempre e soltanto la medesima ipotesi di risoluzione del contratto di leasing "per inadempimento" dell'utilizzatore, non avendo alcun precedente affermato, neppure "per obiter dicta", la applicabilità dell'art. 1526 c.c. con riferimento alla distinta fattispecie dello scioglimento del contratto di leasing traslativo per "mutuo consenso".</div>
<div style="text-align: justify;">
3.9 La decisione della Corte territoriale va dunque confermata nel dispositivo, anche se deve essere corretta la motivazione, alla stregua del seguente principio di diritto:</div>
<div style="text-align: justify;">
"In tema di scioglimento per mutuo consenso, ai sensi dell'art. 1372 c.c., comma 1, del contratto di leasing traslativo, non trova applicazione -neppure analogica- la disposizione dell'art. 1526 c.c. che prevede il ripristino delle originarie posizioni delle parti contraenti attraverso la restituzione all'utilizzatore delle rate versate ed il riconoscimento al concedente del diritto all'equo compenso per l'uso del bene, difettando nel caso di accordo solutorio l'indefettibile presupposto legale dell'inadempimento imputabile a colpa dell'utilizzatore che determina la risoluzione del contratto, atteso che i contraenti -nell'esercizio della loro autonomia negoziale- hanno valutato confacente ai propri interessi non dare ulteriore seguito alla esecuzione del rapporto obbligatorio, ritenendosi soddisfatti dalla parziale attuazione del contratto. In tal caso il contratto solutorio puro -che non contenga ulteriori disposizioni concernenti il rapporto estinto- produce quale unico effetto quello della liberazione delle parti contraenti dall'obbligo di eseguire le ulteriori prestazioni ancora dovute in virtù del precedente contratto".</div>
<div style="text-align: justify;">
4. Rimane, conseguentemente, priva di fondamento anche la censura di violazione dell'art. 1458 c.c. per omessa applicazione degli effetti restitutori, in quanto tale norma è volta a regolare esclusivamente la fattispecie della risoluzione per inadempimento colpevole del contratto a prestazioni corrispettive, trovando peraltro limite -quanto ai predetti effetti- nelle prestazioni, già eseguite, dei "contratti di durata" (comma 1): dovendo ulteriormente precisarsi, a quest'ultimo proposito, come tale limitazione operi laddove il connotato della durata realizzi una effettiva sinallagmaticità tra le prestazioni, ipotesi che ricorre soltanto nel caso del leasing finanziario di godimento e non anche nel leasing traslativo, in tal caso trovando regola, la disciplina della risoluzione per inadempimento, esclusivamente nell'art. 1526 c.c. concernente la vendita con riserva di proprietà ed applicabile in via analogica. Costante è infatti la giurisprudenza di questa Corte che nega al leasing traslativo "la natura di contratto ad esecuzione continuata o periodica" ritenendo "inapplicabile il regime dell'art. 1458 c.c., comma 1, seconda ipotesi, non essendo in esso ravvisabile quella perfetta corrispettività a coppie delle prestazioni reciproche e periodiche che caratterizzano invece il leasing tradizionale, poichè tali prestazioni non solo non sono separabili giuridicamente ed economicamente dalle precedenti e dalle successive, ma non realizzano costantemente, durante la vita del rapporto, l'equilibrio sinallagmatico tra prestazione e controprestazione, costituendo ciascun canone il corrispettivo sia della concessione in godimento, per la parte già eseguita fino al momento della risoluzione, sia del previsto trasferimento della proprietà del bene, sicchè non sussiste equivalenza delle posizioni delle parti al momento dell'anticipata risoluzione del rapporto e difetta quindi il presupposto essenziale per l'applicazione della disciplina dell'art. 1458 citato" (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 65 del 07/01/1993, che richiama il precedente di Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 5572 del 13/12/1989).</div>
<div style="text-align: justify;">
4.1 In tema di contratti, lo scioglimento per mutuo dissenso, infatti, in difetto di diversa specifica pattuizione negoziale, non opera retroattivamente a differenza di quanto previsto dalla legge nell'ipotesi di risoluzione per inadempimento - ed alla cessazione del rapporto non consegue il ripristino dello "status quo ante" che, anzi, deve ritenersi implicitamente escluso per effetto della globale valutazione compiuta dalle parti all'atto della caducazione dell'accordo (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 5065 del 29/04/1993; id. Sez. 5, Sentenza n. 20445 del 06/10/2011; id. Sez. 2 -, Ordinanza n. 4827 del 19/02/2019).</div>
<div style="text-align: justify;">
4.2 Lo scioglimento del contratto per mutuo dissenso (che può realizzarsi anche per "facta concludentia": Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 15959 del 16/08/2004) si sostanzia in un nuovo contratto alla stregua del quale soltanto vanno regolati i "nuovi" effetti che vengono a determinarsi tra gli originari contraenti: sicché se il "contratto solutorio" non contiene ulteriori accordi di natura transattiva e nulla dispone in ordine alla eventuale regolamentazione delle prestazioni già eseguite nella vigenza del contratto risolto, allo stesso non può ricondursi altro effetto che quello della cessazione dei vincoli obbligatori che ancora permangono- del precedente rapporto, dovendo ritenersi che le parti contraenti abbiano ritenuta satisfattiva -secondo la rispettiva valutazione dei propri interessi- la parziale attuazione, fino a quel momento, del rapporto obbligatorio attraverso le prestazioni corrispettive già eseguite, rapporto che viene quindi ad estinguersi consensualmente con efficacia "ex nunc " (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 683 del 10/03/1966; id. Sez. 3, Sentenza n. 12476 del 11/12/1998), non operando -in assenza di una diversa esplicita volontà delle parti- la disciplina legale degli artt. 1458 e 1526 c.c. che, con disposizioni speciali volte a regolare gli effetti della risoluzione per inadempimento, è diretta a privare il titolo negoziale della efficacia obbligatoria, con effetto "ex tunc" richiedendo il ripristino (con eccezione dei rapporti di durata) dei valori patrimoniali dei contraenti nello "statu quo ante" (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 5065 del 29/04/1993).</div>
<div style="text-align: justify;">
4.3 Il "negozio solutorio" (art. 1372 c.c., comma 1), considerando esaurita la causa funzionale del precedente contratto, paralizza, infatti, l'ulteriore svolgimento del rapporto obbligatorio, senza incidere sulle prestazioni già eseguite, diversamente -quindi- sia dalla risoluzione del contratto, in cui l'originario programma negoziale è divenuto inattuabile per fatti oggettivi privando di interesse una attuazione solo parziale; sia dall'altra figura del "contrarius actus" con il quale la parte intende revocare, invece, la precedente manifestazione di volontà, e che, incidendo "ab origine" sulla stessa fattispecie genetica del negozio ne impedisce il perfezionamento; quanto ancora dalle ipotesi dei vizi di invalidità assoluta e relativa del negozio che, inficiando direttamente i suoi elementi costitutivi, determinano la caducazione del titolo con effetto retroattivo ("ex tunc").</div>
<div style="text-align: justify;">
5. Nella specie, entrambi i Giudici di merito hanno accertato che alcun accordo modificativo del contratto di leasing traslativo, volto a disporre la prosecuzione del rapporto, era intervenuto tra le parti, e che il rapporto originario doveva invece ritenersi risolto consensualmente "stante l'inequivoca valenza della cessazione del pagamento dei canoni seguita dalla restituzione dell'immobile, nel maggio 2010, con accettazione da parte della locatrice...." (vedi sentenza appello, in motivazione, pag. 6).</div>
<div style="text-align: justify;">
Consegue che, in difetto di allegazione e prova di differenti accordi intervenuti tra le parti in ordine alla disciplina delle prestazioni già eseguite, il "negozio solutorio" concluso dai contraenti, operando con effetto "ex nunc" la liberazione dal precedente vincolo obbligatorio, escludeva comunque la ripetibilità delle prestazioni già eseguite, non potendo trovare applicazione a tale fattispecie le norme degli artt. 1458 e 1526 c.c. disciplinanti gli effetti restitutori della risoluzione del contratto per inadempimento imputabile a colpa dell'utilizzatore.</div>
<div style="text-align: justify;">
6. I primi quattro motivi del ricorso debbono, dunque, ritenersi tutti infondati, il terzo ed il quarto motivo investendo aspetti meramente conseguenziali rispetto al primo e secondo motivo.</div>
<div style="text-align: justify;">
7. Con il quinto motivo la parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando la statuizione della Corte d'appello che: a) in accoglimento dell'appello incidentale della società concedente aveva riformato la decisione di primo grado sul capo delle spese di lite, dichiarate integralmente compensate dal Tribunale ed invece compensate solo nella misura del 50% dal Giudice territoriale, con condanna del M. alla rifusione del residuo importo; b) aveva applicato lo stesso criterio nella regolamentazione delle spese del secondo grado.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ritiene il ricorrente errata la motivazione di "prevalente soccombenza" ravvisata dal Giudice di seconde cure in capo all'attore in primo grado ed all'appellante principale, in quanto, il Tribunale, pur rigettando le domande principali aveva accolto la domanda subordinata di svincolo della garanzia pignoratizia rilasciata alla società concedente.</div>
<div style="text-align: justify;">
7.2 Il motivo è inammissibile venendo a coinvolgere un apprezzamento di merito in ordine al quale è precluso il sindacato di legittimità.</div>
<div style="text-align: justify;">
7.3 Occorre premettere che al procedimento, introdotto in data antecedente la riforma normativa del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, trova applicazione l'art. 92 c.p.c., comma 1, (come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11) che dispone "Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti".</div>
<div style="text-align: justify;">
Orbene posto che la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, tanto allorché quest'ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 3438 del 22/02/2016), occorre rilevare che il principio di causalità ex art. 91 c.p.c., secondo cui le spese di lite debbono essere poste a carico della parte (anche virtualmente) soccombente è stato interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso che il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte "totalmente" vittoriosa, al di fuori di tale ipotesi rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso di altri giusti motivi (ex plurimis: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 8889 del 03/07/2000; id. Sez. 5 -, Ordinanza n. 8421 del 31/03/2017; id. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017), fermo restando che il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l'esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all'esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 406 del 11/01/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 19880 del 29/09/2011). Ed al riguardo occorre precisare che, in tema di liquidazione delle spese giudiziali, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell'una o dell'altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l'oggetto della lite nel suo complesso (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 1703 del 24/01/2013), mentre la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un'esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 2149 del 31/01/2014; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 30592 del 20/12/2017).</div>
<div style="text-align: justify;">
7.4 Tanto premesso, la Corte d'appello ha effettuato una complessiva valutazione delle posizioni delle parti ritenendo di individuare l'oggetto assolutamente prevalente della causa nelle contrapposte domande concernenti il colpevole inadempimento del contratto di leasing e nella domanda del M. di condanna alla restituzione dei canoni versati, domande tutte rigettate, ritenendo quindi recessivi, rispetto al giudizio di reciproca soccombenza, tanto il parziale accoglimento della domanda subordinata di svincolo del pegno proposta dal M.- quanto il parziale accoglimento dell'appello incidentale proposto dalla società concedente, venendo a considerare in tal modo prevalente la soccombenza subita dalla parte che aveva introdotto il giudizio rispetto a quella della parte che aveva resistito.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ne segue che risulta osservato il disposto dell'art. 92 c.p.c., rimanendo relegata nell'ambito discrezionale -sottratta al sindacato di legittimità- la scelta operata dalla Corte territoriale in ordine alla ripartizione della quota percentuale delle spese compensate e di quelle poste a carico della parte ritenuta "maggiormente" soccombente, mentre alcuna violazione dell'art. 91 c.p.c. è data riscontrare nella condanna alla rifusione delle spese per la quota non compensata, trattandosi di mero effetto conseguenziale della valutata prevalente soccombenza reciproca.</div>
<div style="text-align: justify;">
8. In conclusione il ricorso, infondati i primi quattro motivi ed inammissibile il quinto, deve essere rigettato, e la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
P.Q.M.</div>
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rigetta il ricorso.</div>
<div style="text-align: justify;">
Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-25001985613238700712019-11-28T09:01:00.000+01:002019-12-03T09:29:29.002+01:00Cass. Civ. Sez. V, 19/11/2019, n. 29973<div style="text-align: justify;">
<i>"Nell'alveo Imu si predilige l'esistenza di un vincolo contrattuale fondato sulla detenzione qualificata del bene da parte dell'utilizzatore che prescinde dalla detenzione materiale dello stesso. E' il contratto a determinare la soggettività passiva del locatario e non la disponibilità del bene, quindi il venir meno dell'originario vincolo giuridico (per scadenza naturale o per risoluzione anticipata) fa venir meno la soggettività passiva in capo a quest'ultimo, determinando l'automatico passaggio della stessa in capo al locatore, con rilevanza del presupposto impositivo del possesso nella logica del pieno rispetto del principio della legalità che impone appunto una rigorosa applicazione dei presupposti d'imposta a prescindere da quanto previsto nelle varie istruzioni ministeriali"</i></div>
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Svolgimento del processo</div>
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1.La società Unicredit Leasing S.p.A. impugnava l'avviso di accertamento relativo ad Imu per l'anno 2012, di cui aveva versato solo l'acconto in relazione all'immobile concesso in locazione finanziaria (leasing), osservando che, pur risolto il contratto per inadempienze in data 5.08.2009, l'immobile, di fatto, non era stato rilasciato dal conduttore che l'aveva continuato a detenere. A conforto della tesi, richiamava le istruzioni ministeriali allegate al D.M. dichiarativo Imu, sostenendo che durante la vigenza del rapporto, in caso di risoluzione anticipata del contratto di leasing, la soggettività passiva Imu ritorna in capo al proprietario dell'immobile solo in caso di riconsegna del bene.</div>
<div style="text-align: justify;">
La CTP di Firenze rigettava il ricorso, con sentenza appellata dalla società. Con sentenza dell'11.04.2016 n. 664/16 la C.T.R. della Toscana rigettava l'appello sulla base della considerazione che, con la risoluzione anticipata del contratto, viene meno la posizione di locatorio e l'onere tributario ritorna in capo al proprietario, ancorchè il bene non sia materialmente restituito al proprietario.</div>
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Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Unicredit leasing s.p.a., sulla base di un unico motivo.</div>
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Il Comune di Borgo San Lorenzo ha resistito con controricorso, All'udienza del 7.05.2019, la Corte rimetteva la causa alla pubblica udienza, per la peculiarità della questione.</div>
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La ricorrente e l'amministrazione comunale hanno depositato memorie difensive in prossimità dell'udienza.</div>
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Il P.G. ha concluso per la rimessione della questione alle S.U. ed, in via subordinata, per il rigetto del ricorso.</div>
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Motivi della decisione</div>
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2. Con l'unico motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 8 e art. 9, comma 1 (in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR identificato il soggetto passivo dell'IMU nella società concedente il leasing, sulla base della mera risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore, a prescindere dalla effettiva riconsegna del cespite.</div>
<div style="text-align: justify;">
3. Il motivo è destituito di fondamento.</div>
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Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario (recte, utilizzatore), a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto.</div>
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Così recita testualmente il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 1, ultimo periodo.</div>
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Il punto critico della citata normativa riguarda l'individuazione del termine del contratto, in caso di risoluzione, e del momento in cui la soggettività passiva IMU torna in capo alla società di leasing: si ha, infatti, in un primo momento la cessazione del contratto ed in un secondo momento la riconsegna materiale del bene. Le due date difficilmente possono coincidere, dal punto di vista pratico, e anzi può succedere che tra la cessazione del contratto e il verbale di riconsegna intercorra del tempo, talvolta anche non breve.</div>
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Due sono gli orientamenti formatisi sul punto.</div>
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4. Secondo un primo indirizzo, solo finché dura il contratto il soggetto passivo è il locatario, cioè il detentore. Dalla data di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing il contratto cessa, e quindi il locatario non sarebbe più da considerarsi soggetto passivo, che ritornerebbe ad essere il proprietario (società di leasing).</div>
<div style="text-align: justify;">
A nulla rileverebbe, invece, il fatto che la riconsegna non sia contestuale alla risoluzione del contratto. Difatti, la mancata riconsegna del bene non inciderebbe sulla durata del rapporto che, per effetto della risoluzione, non sarebbe più in vigore e avrebbe, pertanto, avuto fine.</div>
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In definitiva, nel periodo intercorrente fra la risoluzione anticipata del contratto e la riconsegna del bene, sarebbe il proprietario a dover versare l'Imu, in quanto il locatario sarebbe un mero detentore senza titolo del bene.</div>
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La riconsegna farebbe parte degli aspetti ultra-contrattuali.</div>
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A conferma di tale lettura, viene valorizzato lo stesso D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 9 che, nell'individuare la decorrenza della soggettività passiva in capo al conduttore, fa riferimento alla data di stipula del contratto e non alla materiale consegna del bene (si pensi, ad esempio, al caso di immobili ancora non costruiti).</div>
<div style="text-align: justify;">
Recita detta disposizione che: "Soggetti passivi dell'imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabile a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi. Nel caso di concessione di aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario. Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto.".</div>
<div style="text-align: justify;">
Anche la prevalente giurisprudenza tributaria di merito è nel senso che, poiché la norma citata fa riferimento alla durata del contratto e per la data iniziale prende in considerazione l'esistenza del vincolo contrattuale e non già la consegna del bene locato e quindi la sua materiale detenzione da parte dell'utilizzatore, egualmente per il termine finale bisogna fare riferimento alla cessazione del contratto, prescindendo dalla effettiva riconsegna del bene al concedente (da ult. in tal senso, Comm. trib. prov. Modena 12 aprile 2017 n. 327, conf. Ctr Trieste n. 305/2016; Ctp Como n. 146/2016; Ctp Modena n. 721/2016; Ctp Bergamo n. 590/2015; Ctp Lecco n. 133/2015, Ctp Mantova n. 122/2015).</div>
<div style="text-align: justify;">
5. Secondo l'opposto indirizzo, invece, per durata del contratto di locazione finanziaria dovrebbe intendersi il periodo intercorrente dalla data della stipulazione alla data di riconsegna effettiva del bene al locatore.</div>
<div style="text-align: justify;">
L'utilizzatore, dunque, sarebbe il soggetto passivo IMU fino alla data di riconsegna dell'immobile, comprovata dal relativo verbale.</div>
<div style="text-align: justify;">
Questa tesi (cfr., nella giurisprudenza di merito, Ctp Reggio Emilia, 8 luglio 2016 n. 218, Ctp Terni n. 274/2016, Ctp Pavia n. 180/2016 e nella giurisprudenza di legittimità da Cass. n. 19166/2019) si fonda sulle istruzioni contenute nel Dm 30 ottobre 2012, lì dove si specifica che, nel caso di risoluzione anticipata del contratto o di mancato esercizio del riscatto finale del bene, il passaggio della soggettività passiva si verifica con la riconsegna del bene, comprovata dal relativo verbale; nonché sulla legge di Stabilità per il 2014, la quale - nell'ambito della Iuc (Imposta unica municipale che comprende Imu, Tasi e Tari) - aveva previsto che la Tasi fosse dovuta dal locatario per tutta la durata del contratto: intendendosi come tale il periodo che intercorre tra la stipula e la riconsegna del bene al locatore (comprovata dal verbale di consegna).</div>
<div style="text-align: justify;">
In particolare, questa Corte con la pronuncia n. 19166/2019 ha affermato che: il presupposto dell'IMU (come quello della "vecchia" ICI) è testualmente individuato dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 8 nel "possesso" dei beni immobili. Tuttavia, per effetto di quanto previsto dalla norma sulla soggettività passiva dell'IMU (citato D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 9, comma 1, formulato in termini identici a quelli del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, in materia di ICI), ciò che l'art. 8 citato chiama "possesso" ha un contenuto diverso (perché più ampio) della nozione di "possesso" delineata dall'art. 1140 c.c., comma 1. Ai fini dei menzionati tributi, infatti, si qualificano come possessori anche soggetti che, alla stregua del diritto civile, tali non sono, siccome dispongono dell'immobile sulla base non di un diritto reale di godimento, bensì di un diritto personale e, dunque, si qualificano (civilisticamente) come detentori qualificati. In particolare, un soggetto che, per il diritto civile, è un detentore qualificato (e che, invece, viene annoverato tra i possessori dalle disposizioni sulla soggettività passiva dell'ICI, dell'IMU e della TASI) è proprio l'utilizzatore in leasing, il quale è gravato della responsabilità dei citati tributi "per l'intera durata del contratto".</div>
<div style="text-align: justify;">
In quest'ottica, verrebbe depotenziato l'argomento secondo cui l'utilizzatore, "possessore" al momento della stipula del contratto di leasing, diventerebbe un mero detentore (peraltro abusivo) al momento della risoluzione dello stesso, dovendosi riconoscergli tecnicamente la veste di detentore ab initio.</div>
<div style="text-align: justify;">
Aggiunge ancora la Corte che: l'inclusione dell'utilizzatore in leasing nell'elenco dei soggetti passivi del tributo si spiega con l'idoneità del contratto di leasing ad attribuire in via esclusiva all'utilizzatore i benefici e gli oneri che, normalmente, fanno capo a chi abbia la proprietà del bene; si deve, poi, riconoscere anche che (sempre in virtù del contratto) questa situazione si protrae del tutto invariata fino a quando l'utilizzatore mantiene presso di sè la disponibilità concreta dell'immobile, tanto che nel nostro ordinamento, vige un più generale principio secondo il quale, nei contratti di durata che attribuiscono ad un soggetto il diritto di godere di un bene altrui, la mancata riconsegna del bene stesso a seguito della risoluzione del rapporto per causa del conduttore determina la permanenza in capo a quest'ultimo degli obblighi e dei rischi assunti con il contratto (mora debitoris perpetuat obligationem). Fenomeno, questo, che questa Corte ha definito come di "ultrattività" del contratto, nell'ambito di una giurisprudenza che si è certamente formata soprattutto in riferimento ai contratti di locazione semplice.</div>
<div style="text-align: justify;">
Secondo la pronuncia citata, infatti, in caso di risoluzione della locazione, il locatario conserva, fino alla riconsegna del bene, la stessa posizione che aveva nella fase fisiologica del rapporto, che dunque continua da questo punto di vista a produrre i suoi effetti tipici, quale in specie quello di gravare il locatario di tutti i rischi inerenti alla perdita o al deterioramento del bene locato e di danni a terzi, degli obblighi di custodia, manutenzione e riconsegna del bene, nonché dell'obbligazione (ex art. 1591 c.c.) di corrispondere il canone correlato al godimento del bene parametrato all'importo stabilito nel contratto (v., tra le molte, Cass., sentt. nn. 2617/1963, 2672/1981, 5456/1986, 11055/1993, 9977/2011, 9549/2010, 23720/2008, 11118/2013, 22924/2012, 1 1 22924/2012, 6253/2015).</div>
<div style="text-align: justify;">
6. Tuttavia, detta ultima interpretazione non appare condivisibile.</div>
<div style="text-align: justify;">
In senso contrario a quest'ultimo approccio, si è posto in evidenza che non avrebbe rilevanza, quanto all'Imu, la norma prevista per la Tasi, poiché le due imposizioni tributarie hanno presupposti differenti. La Tasi è destinata al finanziamento di servizi pubblici rivolti alla collettività e pertanto deve essere corrisposta sia dai proprietari che dagli affittuari. Proprio la fruizione del servizio pubblico indivisibile giustifica l'obbligo del pagamento in capo al locatario finanziario dalla data di stipulazione del contratto a quello di riconsegna del bene al locatore. L'Imu, invece, prescinde del tutto dalla fruizione dei servizi, tanto che ha come unico presupposto il possesso di fabbricati ed aree. Dalla differenza di natura e dei presupposti delle due obbligazioni tributarie discenderebbe l'impossibilità di formulare interpretazioni analogiche tra le due disposizioni (Cass. n. 19166/2019). In questo quadro non appare pertinente il richiamo operato alla normativa della Tasi non potendosi applicare la medesima disposizione, che è riferita a un diverso tributo e che non riveste certo valenza interpretativa.</div>
<div style="text-align: justify;">
Del resto, argomentando a contrario, proprio la necessità, avvertita dal legislatore, di introdurre una disciplina in tema di Tasi, sul punto, difforme rispetto a quella già vigente in tema di Imu deporrebbe nel senso di ritenere che quest'ultima, peraltro non modificata, dovrebbe intendersi nei termini avallati dal primo orientamento.</div>
<div style="text-align: justify;">
7. E' indubbio poi che l'utilizzatore in leasing, con il contratto, instaura una relazione giuridica con il bene assai più penetrante di quella facente capo alla stessa società concedente (possessore mediato), la quale, come più volte affermato da questa Corte (tra le molte, Cass., Sez. III, sent. n. 3362 del 13 febbraio 2014), esercita sul bene una proprietà di tipo "formale o fiduciario", la cui sola funzione è, cioè, quella di garantire l'impresa stessa contro l'unico rischio che le deriva dal contratto di leasing (quello dell'inadempimento dell'utilizzatore all'obbligazione di pagamento dei canoni), potendosi riconoscere all'utilizzatore, invece, "una sorta di utile dominio".</div>
<div style="text-align: justify;">
In particolare, la giurisprudenza di legittimità in materia di leasing traslativo e finanziario ha affermato costantemente che l'originario locatore-proprietario trasferisce con il contratto di leasing il godimento dell'immobile (V. Cass. n. 5253/2012; Cass. n. 11643/2012) e gli viene attribuita la detenzione autonoma qualificata (v. Cass. n. 9417 del 30/04/2014; nn. 1704 e 21411 del 2012).</div>
<div style="text-align: justify;">
La ragione per la quale l'utilizzatore in leasing (che per il diritto civile è solo un detentore del bene) viene riguardato e trattato alla stregua di un possessore dalla disciplina dell'IMU (della TASI e della vecchia ICI) risiede proprio nel fatto che solo l'utilizzatore, in virtù del contratto, esercita i poteri e le facoltà e, al contempo, assume i doveri e i rischi, che tipicamente fanno capo ad un possessore (ed, anzi, al possessore per eccellenza: il proprietario). Non a caso tale disciplina individua il momento iniziale (per così dire) della soggettività passiva dell'utilizzatore in quello della sottoscrizione del contratto (e non in quello nel quale l'utilizzatore riceve in consegna il bene). E' con la sottoscrizione, infatti, che il contratto, sul piano civilistico, inizia a produrre i propri effetti, facendo acquisire, appunto, all'utilizzatore la situazione (di potere e di responsabilità) che tipicamente connota la sua posizione nei confronti dell'impresa concedente e dei terzi. E, invero, è l'utilizzatore il soggetto che, non solo gode in via esclusiva del bene ma, ancor prima lo sceglie, individuando in totale autonomia il soggetto che deve fornirlo o (se si tratta di leasing in costruendo) che deve realizzarlo.</div>
<div style="text-align: justify;">
E' questa, dunque, la situazione concreta che, nella sistematica dei tributi in parola, assurge a indice (manifestazione materiale) della capacità economica che i tributi stessi intendono colpire. Ed è, allo stesso tempo, l'elemento che conferisce razionalità/ragionevolezza della disciplina dei tributi stessi (ponendola al riparo da ogni possibile dubbio di illegittimità costituzionale) nella parte in cui include, appunto, un soggetto che tecnicamente non è possessore nell'elenco di coloro che sono chiamati a sopportare l'onere connesso al prelievo in qualità di possessori.</div>
<div style="text-align: justify;">
8.Tuttavia, l'utilizzatore non conserva affatto dopo la risoluzione del contratto la detenzione autonoma qualificata dell'immobile, che, secondo questa interpretazione, costituirebbe il presupposto dell'IMU, ma diventa mero detentore privo di titolo.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ciò in linea con i principi costantemente affermati da questa Corte in materia di risoluzione del contratto, secondo la quale in mancanza di una "causa adquirendi" in ragione della dichiarazione di nullità, dell'annullamento, della risoluzione o della rescissione di un contratto o del venire comunque meno del vincolo originariamente esistente, l'azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo (Cass. n. 715/2018; n. 14013/ 2017; n.. 2956/2011; n. 9052 del 2010), il che conferma che la detenzione qualificata in capo all'utilizzatore, considerata dal legislatore quale presupposto per l'imposizione IMU, permane solo durante la vita del rapporto giuridico e si traduce invece in mera detenzione senza titolo a seguito della risoluzione del contratto, dimostrando ciò la correttezza dell'interpretazione secondo la formulazione letterale del D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 9 che individua nel locatario il soggetto passivo, nel caso di locazione finanziaria, a decorrere dalla data di stipula e per tutta la durata del contratto, derivandone, qualora il contratto di leasing sia risolto e l'immobile non sia stato restituito, che il locatore ritorna ad essere soggetto passivo.</div>
<div style="text-align: justify;">
9. La tesi dell'ultrattività di taluni effetti del contratto di locazione (Cass. n. 6253/2015; n. 1118/2013; n. 22924/2012), in virtù della quale, il conduttore, sul quale, anche dopo la risoluzione del contratto e per la sola detenzione dell'immobile, rimanendo gravato dei rischi di perdita o deterioramento della cosa, ovvero degli obblighi di custodia e manutenzione, conserverebbe la stessa posizione che aveva in pendenza del contratto, non considera che il tutto ha riguardo ai rapporti inter partes, mentre il citato D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 9 ancora la soggettività passiva IMU del locatario alla persistenza del vincolo contrattuale, in quanto titolare di diritti opponibili erga omnes.</div>
<div style="text-align: justify;">
Peraltro la deroga alla definizione del presupposto imponibile di cui al citato D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 9 trova il suo fondamento nel principio di ragionevolezza, regolando il legislatore allo stesso modo fattispecie analoghe: il concedente che ha il possesso in forza della concessione e l'utilizzatore che ha la detenzione qualificata in forza del contratto di leasing, ma che può divenire possessore con l'esercizio del diritto di riscatto; soggetti che il legislatore ha equiparato sotto il profilo della capacità contributiva.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma, con la risoluzione del contratto di leasing, ai fini tributari, non sopravvive alcun effetto contrattuale, in quanto la causa del finanziamento viene meno, non vi è possibilità di riscatto e soprattutto la mera detenzione senza titolo risulta priva di effetti ai fini tributari.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ragion per cui è impossibile predicare l'equivalenza della situazione del detentore senza titolo a quella del detentore qualificato in virtù del contratto di leasing o a quella del proprietario o del possessore; ciò in quanto il detentore senza titolo è pacificamente privo della soggettività della titolarità passiva dell'imposta comunale.</div>
<div style="text-align: justify;">
10.In conclusione, nell'alveo Imu si predilige l'esistenza di un vincolo contrattuale fondato sulla detenzione qualificata del bene da parte dell'utilizzatore che prescinde dalla detenzione materiale dello stesso. E' il contratto a determinare la soggettività passiva del locatario e non la disponibilità del bene, quindi il venir meno dell'originario vincolo giuridico (per scadenza naturale o per risoluzione anticipata) fa venir meno la soggettività passiva in capo a quest'ultimo, determinando l'automatico passaggio della stessa in capo al locatore, con rilevanza del presupposto impositivo del possesso nella logica del pieno rispetto del principio della legalità che impone appunto una rigorosa applicazione dei presupposti d'imposta a prescindere da quanto previsto nelle varie istruzioni ministeriali.</div>
<div style="text-align: justify;">
Dal chiaro dettato normativo contenuto nel menzionato articolo, ne discende che con la risoluzione del contratto di leasing la soggettività passiva ai fini Imu si determina in capo alla società di leasing, anche se essa non ha ancora acquisito la materiale disponibilità del bene per mancata riconsegna da parte dell'utilizzatore. Ciò in quanto, il legislatore ha ritenuto rilevante, ai fini impositivi, non già la consegna del bene e quindi la detenzione materiale dello stesso, bensì l'esistenza di un vincolo contrattuale che legittima la detenzione qualificata dell'utilizzatore.</div>
<div style="text-align: justify;">
Infatti, per il legislatore fiscale la soggettività passiva del locatario finanziario si realizza addirittura quand'anche il bene da concedere non fosse ancora venuto ad esistenza ("Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione") e pure quand'anche fosse che il bene non sia stato ancora consegnato dal concedente all'utilizzatore, essendo rilevante, per il sorgere della soggettività passiva Imu non già l'adempimento della consegna del bene (e di converso per la sua cessazione la riconsegna), ma, come precedentemente chiarito, la sola sottoscrizione del contratto ("soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula").</div>
<div style="text-align: justify;">
Così pure la cessazione dello status di soggetto passivo Imu viene chiaramente individuata dalla norma primaria di imposta e per l'effetto il locatario finanziario non si considera più come soggetto passivo, non tanto dalla riconsegna del bene al concedente, ma dal momento della cessazione del contratto, che ai fini dell'Imu, come nella disciplina civilistica, si determina nel momento del pagamento dell'ultimo canone in base alla durata stabilita nel contratto oppure, nelle ipotesi di risoluzione anticipata per inadempimento, come nella fattispecie, dal momento in cui il contratto è stato risolto (cfr. Cass. 13793 del 22/05/2019).</div>
<div style="text-align: justify;">
11.Tale essendo il quadro delle norme e dei principi (di diritto civile e tributario) da prendere a riferimento allorché si deve individuare il periodo di efficacia temporale del leasing, risulta evidente come le Istruzioni per la compilazione della dichiarazione IMU per il 2012 (di cui al D.M. 30 ottobre 2012) non possono certamente modificare i termini per l'individuazione del soggetto passivo di imposta.</div>
<div style="text-align: justify;">
12. In definitiva, il ricorso merita di essere respinto.</div>
<div style="text-align: justify;">
La recente evoluzione giurisprudenziale e l'assenza di precedenti specifici sul tema al momento del ricorso giustificano la compensazione integrale delle spese con riferimento ai gradi di merito e al presente giudizio di legittimità.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
P.Q.M.</div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La Corte rigetta il ricorso; compensa per intero le spese relative ai gradi di merito e del presente giudizio di legittimità.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-57378948404714435302019-10-31T08:52:00.000+01:002019-10-31T08:54:22.245+01:00Trib. Bergamo, 12/9/19<div style="text-align: justify;">
La legittimità della clausola risolutiva espressa inserita in un contratto di leasing deve essere giudicata assumendo come riferimento la L. n. 124 del 2017, anche se il contratto sia stato risolto prima dell'entrata in vigore di quest'ultima, in applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva. In particolare, una clausola risolutiva coerente con lo schema "canoni scaduti + canoni a scadere - bene" è conforme alla disposizione dell'art. 1 comma 138 della L. n. 124 del 2017: la mancanza, nel testo contrattuale, del riferimento alla necessità che la riallocazione del bene sia effettuata a valori di mercato non può infatti reputarsi una differenza rilevante, considerato che tale requisito va comunque ritenuto sussistente alla luce del parametro della buona fede contrattuale ex art. 1375 c.c.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-73102452079187346552019-10-01T09:15:00.000+02:002019-10-31T09:17:04.861+01:00Trib. Ancona, 19/9/19<div style="text-align: justify;">
L'art. 1526 c.c. non è applicabile ai contratti di leasing anche se stipulati prima dell'entrata in vigore della legge per il mercato n. 124/2017, in quanto si tratta di disciplina ad esso estranea. Il leasing, nella sua evoluzione giuridica, si è infatti man mano tipizzato assumendo forme del tutto peculiari e tipiche, sino all'introduzione della legge citata, la quale ha dettato una compiuta disciplina relativa a presupposti, effetti e conseguenze della risoluzione per inadempimento, oltre a norme di coordinamento con altre disposizioni che richiamano tale fattispecie contrattuale.</div>
<div>
<br /></div>
<div>
<i>Fonte: <a href="https://news.ilcaso.it/news_6642/30-09-19/Inapplicabilit%E0_in_via_analogica_dell-art_1526_cc_al_contratto_di_leasing">IlCaso.it</a></i></div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-11788735939873730622019-08-01T09:13:00.000+02:002019-10-31T09:01:06.987+01:00Cass. civ. Sez. V, 17/07/2019, n. 19166<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: justify;">
"<i>Nel caso di risoluzione anticipata del contratto o di mancato esercizio del riscatto finale del bene, il passaggio della soggettività passiva si verifica con la riconsegna del bene, comprovata dal relativo verbale.</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i>Il presupposto dell'IMU (come quello della "vecchia" ICI) è testualmente individuato dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 8 nel "possesso" dei beni immobili.</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i>Tuttavia, per effetto di quanto previsto dalla norma sulla soggettività passiva dell'IMU (del citato decreto, art. 9, comma 1 formulato in termini identici a quelli del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3 in materia di ICI), ciò che il citato D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 8 chiama "possesso" ha un contenuto diverso (perché più ampio) della nozione di "possesso" delineata dall'art. 1140 c.c., comma 1. Ai fini dei menzionati tributi, infatti, si qualificano come possessori anche soggetti che, alla stregua del diritto civile, tali non sono, siccome dispongono dell'immobile sulla base non di un diritto reale di godimento, bensì di un diritto personale e, dunque, si qualificano (civilisticamente) come detentori qualificati.</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i>In particolare, un soggetto che, per il diritto civile, è un detentore qualificato (e che, invece, viene annoverato tra i possessori dalle disposizioni sulla soggettività passiva dell'ICI, dell'IMU e della TASI) è proprio l'utilizzatore in leasing, il quale è gravato della responsabilità dei citati tributi "per l'intera durata del contratto".</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i>In quest'ottica, viene depotenziato l'argomento secondo cui l'utilizzatore, "possessore" al momento della stipula del contratto di leasing, diventerebbe un mero detentore (peraltro abusivo) al momento della risoluzione dello stesso, dovendosi riconoscergli tecnicamente la veste di detentore ab initio</i>"</div>
<br />
<a name='more'></a>SVOLGIMENTO DEL PROCESSO</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La Mediocredito Italiano S.p.A. impugnava il diniego oppostole al rimborso dell'Imu versata in relazione all'immobile concesso in locazione finanziaria (leasing), osservando che, pur risolto il contratto per inadempienze in data 31.07.2009, l'immobile, di fatto, non era stato rilasciato e detenuto materialmente dal conduttore. A conforto della tesi, richiamava la sopravvenuta disciplina ai fini della Tasi (L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 672), la quale statuisce che la durata del contratto è da riferire alla effettiva consegna del bene al locatore, comprovata da verbale di consegna. Chiedeva, quindi, la declaratoria del diritto al rimborso dell'imposta versata.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il Comune di San Benedetto dei Marsi, nel costituirsi in giudizio, contestava l'assunto della controparte e ne chiedeva il rigetto.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La CTP di L'Aquila, con la sentenza n. 772/1/2014, rigettava il ricorso, principalmente non ritenendo applicabile la L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 672, all'imposta Imu. In particolare, nel richiamare la normativa istitutiva dell'Imu (D.Lgs. n. 23 del 2011), rilevava che, ai fini dell'individuazione della durata contrattuale, operava uno stretto riferimento al rapporto in essere, sicché, nel caso di contratto di leasing risolto prima dello scadere, il soggetto passivo del tributo doveva essere individuato nel titolare di diritto reale sull'immobile.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La contribuente impugnava la sentenza.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il Comune di San Benedetto dei Marsi, contestava i motivi di appello e controdeduceva, rilevando la corrispondenza della disciplina Ici con quella Imu e rappresentando che, ex art. 1140 c.c., il possessore del bene non coincideva con il mero detentore.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Evidenziava altresì che per le annualità precedenti, ai fini Ici, la società aveva regolarmente adempiuto agli obblighi fiscali.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Con sentenza del 22.12.2015, la C.T.R. Abruzzo rigettava l'appello sulla base delle seguenti considerazioni:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1) parte ricorrente, a seguito di risoluzione anticipata del contratto di leasing, era ritornata legittimo possessore del bene, tanto da adempiere ai conseguenti obblighi tributari;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2) né poteva invocarsi in senso contrario la disposizione normativa introdotta con la L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 672, che, ai fini della imposta Tasi, precisa che la durata del contratto è riferita alla data di riconsegna del bene al locatore comprovata dal verbale di consegna;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3) invero i diversi presupposti impositivi (rispettivamente, il possesso di immobili e il collegamento ai servizi erogati e fruibili) distinguevano l'Imu dalla Tasi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Mediocredito Italiano s.p.a., sulla base di un unico motivo. Il Comune di San Benedetto dei Marsi ha resistito con controricorso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In prossimità dell'udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<div style="text-align: center;">
MOTIVI DELLA DECISIONE</div>
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1. Con l'unico motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 23 del 2001, art. 9, comma 1, e L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 672 (in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR identificato il soggetto passivo per l'IMU nella società concedente il leasing sulla base della mera risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore, a prescindere dalla effettiva riconsegna del cespite.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.1. Il motivo è fondato.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario (recte, utilizzatore), a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Così recita testualmente il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 1, u.p..</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
E dunque, in deroga al principio che individua il presupposto per l'applicazione del'IMU nel "possesso" degli immobili, la soggettività passiva dell'IMU, rispetto agli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, detenuti in leasing, è riferita al locatario.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Quanto alla decorrenza, si fa riferimento senza dubbio alla data di stipula del contratto.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Più critica, invece, è l'individuazione del termine del contratto, in caso di risoluzione, e del momento in cui la soggettività passiva IMU torna in capo alla società di leasing: si ha, infatti, in un primo momento la cessazione del contratto ed in un secondo momento la riconsegna materiale del bene. Le due date difficilmente possono coincidere, dal punto di vista pratico, e anzi può succedere che tra la cessazione del contratto e il verbale di riconsegna intercorra del tempo, talvolta anche non breve.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Due sono gli orientamenti formatisi sul punto.</div>
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<br /></div>
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1.2. Secondo un primo indirizzo, solo finchè dura il contratto il soggetto passivo è il locatario, cioè il detentore. Dalla data di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing il contratto cessa, e quindi il locatario non sarebbe più da considerarsi soggetto passivo, che ritornerebbe ad essere il proprietario (società di leasing).</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
A nulla rileverebbe, invece, il fatto che la riconsegna non sia contestuale alla risoluzione del contratto. Difatti, la mancata riconsegna del bene non inciderebbe sulla durata del rapporto che, per effetto della risoluzione, non sarebbe più in vigore e avrebbe, pertanto, avuto fine.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In definitiva, nel periodo intercorrente fra la risoluzione anticipata del contratto e la riconsegna del bene, sarebbe il proprietario a dover versare l'Imu, in quanto il locatario sarebbe un mero detentore senza titolo del bene.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La riconsegna farebbe parte degli aspetti ultra-contrattuali.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
A conferma di tale lettura, viene valorizzato lo stesso D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 9 che, nell'individuare la decorrenza della soggettività passiva in capo al conduttore, fa riferimento alla data di stipula del contratto e non alla materiale consegna del bene (si pensi, ad esempio, al caso di immobili ancora non costruiti).</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Del resto, si aggiunge, all'art. 1458 c.c., testualmente prevede che la risoluzione del contratto per inadempimento abbia effetto retroattivo fra le parti, ragion per cui come effetto automatico dell'atto di risoluzione la soggettività d'imposta tornerebbe in capo all'originario proprietario del bene.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Semmai, dall'inadempimento dell'obbligo di riconsegna deriverebbe una diversa responsabilità del locatario stesso da farsi valere in sede civile (facendo riferimento alle disposizioni degli artt. 1591 e 1529 c.c., che prevedono in capo alla società di leasing il diritto ad un equo compenso per l'uso dei fabbricati, oltre al risarcimento del danno).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La prevalente giurisprudenza tributaria di merito è nel senso che, poichè la norma citata fa riferimento alla durata del contratto e per la data iniziale prende in considerazione l'esistenza del vincolo contrattuale e non già la consegna del bene locato e quindi la sua materiale detenzione da parte dell'utilizzatore, egualmente per il termine finale bisogna fare riferimento alla cessazione del contratto, prescindendo dalla effettiva riconsegna del bene al concedente (da ult. in tal senso, Comm. trib. prov. Modena 12 aprile 2017 n. 327, conf. Ctr Trieste n. 305/2016; Ctp Como n. 146/2016; Ctp Modena n. 721/2016; Ctp Bergamo n. 590/2015; Ctp Lecco n. 133/2015, Ctp Mantova n. 122/2015).</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Una diversa interpretazione della norma condurrebbe, sostengono i fautori dell'indirizzo in esame, al paradosso che il proprietario-locatore ordinario dovrebbe corrispondere il tributo in ogni caso, mentre il concedente il leasing non pagherebbe fino a quando non fosse rientrato in possesso del bene, scaricando in tal modo sull'erario gli effetti pregiudizievoli dell'inadempimento di un'obbligazione privatistica.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.3. Secondo l'opposto indirizzo, invece, per durata del contratto di locazione finanziaria dovrebbe intendersi il periodo intercorrente dalla data della stipulazione alla data di riconsegna effettiva del bene al locatore.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L'utilizzatore, dunque, sarebbe il soggetto passivo IMU fino alla data di riconsegna dell'immobile, comprovata dal relativo verbale.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Questa tesi (cfr., nella giurisprudenza di merito, Ctp Reggio Emilia, 8 luglio 2016 n. 218, Ctp Terni n. 274/2016, Ctp Pavia n. 180/2016) si fonda sulle istruzioni contenute nel Dm 30 ottobre 2012, lì dove si specifica che, <b>nel caso di risoluzione anticipata del contratto o di mancato esercizio del riscatto finale del bene, il passaggio della soggettività passiva si verifica con la riconsegna del bene, comprovata dal relativo verbale</b>; nonchè sulla legge di Stabilità per il 2014, la quale - nell'ambito della Iuc (Imposta unica municipale che comprende Imu, Tasi e Tari) aveva previsto che la Tasi fosse dovuta dal locatario per tutta la durata del contratto: intendendosi come tale il periodo che intercorre tra la stipula e la riconsegna del bene al locatore (comprovata dal verbale di consegna).</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Un ulteriore argomento che viene speso a favore di tale indirizzo è rappresentato dalle istruzioni alla compilazione della dichiarazione IMU (approvate con dm 30.10.2012 e attualmente in vigore), le quali prevedono quanto segue, al paragrafo 1.4.:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
- nel caso di locazione finanziaria per l'acquisto dell'immobile, anche da costruire o in corso di costruzione con contestuale stipula del contratto di leasing, il locatario deve presentare la dichiarazione IMU entro 90 giorni dalla data di stipula del contratto stesso, essendo il locatario il soggetto passivo dell'IMU a decorrere dalla data della stipula del contratto e per tutta la durata dello stesso. La società di leasing non ha alcun obbligo dichiarativo;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
- nel caso, invece, di risoluzione anticipata o di mancato esercizio del diritto di opzione finale (riscatto) del contratto di locazione finanziaria, la società di leasing, che è il nuovo soggetto passivo, e il locatario, che ha cessato di esserlo, sono coloro su cui grava l'onere dichiarativo IMU entro 90 giorni dalla data di riconsegna del bene, comprovata dal verbale di consegna.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Le istruzioni individuano, pertanto, la data del verbale di riconsegna quale momento dal quale decorre il termine per la presentazione della dichiarazione.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Anche se le istruzioni individuano il detto momento, e non anche espressamente quello in cui cambia il soggetto passivo, esisterebbe una linea interpretativa nel senso di identificare in modo unico tali due momenti.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Infine, nel richiamare la normativa dettata in tema di Tasi dalla legge di stabilità 2014, si sostiene che la stessa non potrebbe non applicarsi anche all'IMU, non potendoci essere discrasia tra i due tipi di tributi, anche per una questione di coerenza del sistema.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ai fini del tributo sui servizi indivisibili, la L. n. 14 del 2013, art. 1, comma 672 precisa che "in caso di locazione finanziaria, la TASI è dovuta dal locatario a decorrere dalla data della stipulazione e per tutta la durata del contratto; per durata del contratto di locazione finanziaria deve intendersi il periodo intercorrente dalla data della stipulazione alla data di riconsegna del bene al locatore, comprovata dal verbale di consegna".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Pertanto, ai fini della TASI, che pur rientra insieme all'IMU e alla TARI nella "IUC - imposta unica comunale", la norma è chiara nell'indicare il termine della soggettività passiva del conduttore nella data di riconsegna. Applicando l'interpretazione favorevole a far coincidere il ritorno in capo alla società concedente della legittimazione passiva con la risoluzione del contratto, si avrebbe un diverso periodo di imposizione in capo al conduttore: fino alla cessazione del contratto, ai fini IMU, e fino alla riconsegna del bene ai fini della TASI. 1.4. In senso contrario a quest'ultimo approccio, si è posto in evidenza che non avrebbe rilevanza, quanto all'Imu, la norma prevista per la Tasi, poichè le due imposizioni tributarie hanno presupposti differenti. La Tasi è destinata al finanziamento di servizi pubblici rivolti alla collettività e pertanto deve essere corrisposta sia dai proprietari che dagli affittuari. Proprio la fruizione del servizio pubblico indivisibile giustifica l'obbligo del pagamento in capo al locatario finanziario dalla data di stipulazione del contratto a quello di riconsegna del bene al locatore. L'Imu, invece, prescinde del tutto dalla fruizione dei servizi, tanto che ha come unico presupposto il possesso di fabbricati ed aree. Dalla differenza di natura e dei presupposti delle due obbligazioni tributarie discenderebbe l'impossibilità di formulare interpretazioni analogiche tra le due disposizioni.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Del resto, argomentando a contrario, proprio la necessità, avvertita dal legislatore, di introdurre una disciplina in tema di Tasi, sul punto, difforme rispetto a quella già vigente in tema di Imu deporrebbe nel senso di ritenere che quest'ultima, peraltro non modificata, dovrebbe intendersi nei termini avallati dal primo orientamento.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.5. Tuttavia, numerosi elementi depongono a favore della tesi avallata dal secondo indirizzo, che, con gli opportuni accorgimenti, si intende qui condividere.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Il presupposto dell'IMU (come quello della "vecchia" ICI) è testualmente individuato dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 8 nel "possesso" dei beni immobili.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Tuttavia, per effetto di quanto previsto dalla norma sulla soggettività passiva dell'IMU (del citato decreto, art. 9, comma 1 formulato in termini identici a quelli del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3 in materia di ICI), ciò che il citato D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 8 chiama "possesso" ha un contenuto diverso (perché più ampio) della nozione di "possesso" delineata dall'art. 1140 c.c., comma 1. Ai fini dei menzionati tributi, infatti, si qualificano come possessori anche soggetti che, alla stregua del diritto civile, tali non sono, siccome dispongono dell'immobile sulla base non di un diritto reale di godimento, bensì di un diritto personale e, dunque, si qualificano (civilisticamente) come detentori qualificati.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>In particolare, un soggetto che, per il diritto civile, è un detentore qualificato (e che, invece, viene annoverato tra i possessori dalle disposizioni sulla soggettività passiva dell'ICI, dell'IMU e della TASI) è proprio l'utilizzatore in leasing, il quale è gravato della responsabilità dei citati tributi "per l'intera durata del contratto".</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>In quest'ottica, viene depotenziato l'argomento secondo cui l'utilizzatore, "possessore" al momento della stipula del contratto di leasing, diventerebbe un mero detentore (peraltro abusivo) al momento della risoluzione dello stesso, dovendosi riconoscergli tecnicamente la veste di detentore ab initio.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.5.1. Questo, peraltro, non significa che l'utilizzatore in leasing sia sprovvisto di poteri e facoltà assimilabili a quelli di un possessore in senso proprio.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In particolare, l'utilizzatore in leasing pacificamente, con il contratto, allaccia una relazione giuridica con il bene assai più penetrante di quella facente capo alla stessa società concedente, la quale, come più volte affermato da questa Corte (tra le molte, Cass., Sez. III, sent. n. 3362 del 13 febbraio 2014), esercita sul bene una proprietà di tipo "formale o fiduciario", la cui sola funzione è, cioè, quella di garantire l'impresa stessa contro l'unico rischio che le deriva dal contratto di leasing (quello dell'inadempimento dell'utilizzatore all'obbligazione di pagamento dei canoni), potendosi riconoscere all'utilizzatore, invece, "una sorta di utile dominio".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La ragione per la quale l'utilizzatore in leasing (che per il diritto civile è solo un detentore del bene) viene riguardato e trattato alla stregua di un possessore dalla disciplina dell'IMU (della TASI e della vecchia ICI) risiede proprio nel fatto che solo l'utilizzatore, in virtù del contratto, esercita i poteri e le facoltà e, al contempo, assume i doveri e i rischi (ossia i rischi di perimento, perdita e danneggiamento del bene, nonché di danni a cose o persone causati dal bene), che tipicamente fanno capo ad un possessore (ed anche al proprietario).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Non a caso tale disciplina individua il momento iniziale (per così dire) della soggettività passiva dell'utilizzatore in quello della sottoscrizione del contratto (e non in quello nel quale l'utilizzatore riceve in consegna il bene).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
E' con la sottoscrizione, infatti, che il contratto, sul piano civilistico, inizia a produrre i propri effetti, facendo acquisire, appunto, all'utilizzatore la situazione (di potere e di responsabilità) che tipicamente connota la sua posizione nei confronti dell'impresa concedente e dei terzi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.5.2. Una volta chiarito che l'inclusione dell'utilizzatore in leasing nell'elenco dei soggetti passivi del tributo si spiega con l'idoneità del contratto di leasing ad attribuire in via esclusiva all'utilizzatore i benefici e gli oneri che, normalmente, fanno capo a chi abbia la proprietà del bene, si deve, poi, riconoscere anche che (sempre in virtù del contratto) questa situazione si protrae del tutto invariata fino a quando l'utilizzatore mantiene presso di sé la disponibilità concreta dell'immobile.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
A dimostrarlo è, prima di tutto, la costante presenza nei formulari impiegati dalle imprese di leasing per la conclusione dei contatti con la clientela di clausole che:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
- addossano all'utilizzatore i rischi pertinenti il bene in leasing fino al momento in cui (in assenza di opzione di riscatto) non provveda alla materiale restituzione del bene e - fanno, altresì, obbligo all'utilizzatore di stipulare e mantenere, in favore lo dell'impresa di leasing, una polizza assicurativa contro i suddetti rischi, di nuovo, fino ad eventuale riconsegna del bene.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Si tratta di clausole che non si giustificherebbero causalmente (e che, dunque, non sarebbero state riconosciute come valide, e non vessatorie, dalla giurisprudenza) se non fosse dato affermare che la peculiare relazione che, per effetto del contratto di leasing, l'utilizzatore instaura con il bene si mantiene intatta, in fatto e in diritto, fin quando il primo mantiene la disponibilità materiale del secondo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.5.3. Un'affermazione in tal senso risulta corretta, data la vigenza, nel nostro ordinamento, di un più generale principio secondo il quale, nei contratti di durata che attribuiscono ad un soggetto il diritto di godere di un bene altrui, la mancata riconsegna del bene stesso a seguito della risoluzione del rapporto per causa del conduttore determina la permanenza in capo a quest'ultimo degli obblighi e dei rischi assunti con il contratto (mora debitoris perpetuat obligationem). Fenomeno, questo, che questa Corte ha efficacemente definito come di "ultrattività" del contratto, nell'ambito di una giurisprudenza che si è certamente formata soprattutto in riferimento ai contratti di locazione semplice, ma non differisce, in concreto (negli esiti), da quella che più specificamente si è occupata della risoluzione anticipata del leasing per inadempimento dell'utilizzatore.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Secondo la giurisprudenza in parola, infatti, in caso di risoluzione della locazione, il locatario conserva, fino alla riconsegna del bene, la stessa posizione che aveva nella fase fisiologica del rapporto, che dunque continua da questo punto di vista a produrre i suoi effetti tipici, quale in specie quello di gravare il locatario di tutti i rischi inerenti alla perdita o al deterioramento del bene locato e di danni a terzi, degli obblighi di custodia, manutenzione e riconsegna del bene, nonché dell'obbligazione (ex art. 1591 c.c.) di corrispondere il canone correlato al godimento del bene parametrato all'importo stabilito nel contratto (v., tra le molte, Cass., sentt. nn. 2617/1963, 2672/ 1981, 5456/ 1986, 11055/1993, 9977/ 2011, 9549/2010, 2372072008, 11118/2013, 22924/2012, 22924/2012, 6253/2015).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tra le menzionate pronunce, si segnala, in particolare, Sez. 3, Sentenza n. 22924 del 13/12/2012, secondo cui, in tema di locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali, il conduttore che, alla scadenza del contratto, rifiuti la restituzione dell'immobile, in attesa che il locatore gli corrisponda la dovuta indennità di avviamento, è obbligato, ai sensi dell'art. 1591 c.c., al pagamento del corrispettivo rapportato al canone legalmente dovuto, sostituendosi tale importo, anche in tale fase di ultrattività del rapporto, a quello contrattuale eventualmente convenuto in contrasto con la legge.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.5.4. Inoltre, avuto riguardo al caso di risoluzione di un contratto di leasing cd. traslativo, mancando una disciplina ad hoc per quest'ultimo caso, la giurisprudenza in discorso ritiene applicabile, in via analogica, la disciplina della risoluzione anticipata della c.d. vendita a rate per inadempimento del compratore di cui all'art. 1526 c.c. e, quindi, estende all'utilizzatore moroso il diritto (dell'acquirente a rate) alla restituzione dei canoni versati all'impresa concedente (al netto di un equo compenso per il godimento del bene). Diritto, che, però, sorge solo dopo che l'utilizzatore stesso abbia provveduto alla riconsegna del bene, perché è solo in tale momento che l'utilizzatore si spoglia delle facoltà, degli obblighi e dei rischi assunti con il contratto. E' solo in tale momento, cioè, che il rapporto contrattuale si estingue e cessa di produrre i propri effetti.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tanto è vero che in più occasioni questa Corte ha affermato il principio secondo cui nel leasing traslativo, al quale si applica per analogia la disciplina dettata dall'art. 1526 c.c. per la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà in caso di inadempimento dell'utilizzatore, quest'ultimo, riconsegnato il bene, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, mentre il concedente ha diritto ad un equo compenso per l'uso della cosa (Sez. 3, Sentenza n. 9161 del 24/06/2002; conf. Sez. 3, Sentenza n. 73 del 08/01/2010 e Sez. 3, Sentenza n. 29020 del 13/11/2018).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.5.5. Tale essendo il quadro delle norme e dei principi (di diritto civile e tributario) da prendere a riferimento allorché ci si interroga sull'efficacia temporale del leasing, risulta evidente, poi, come tanto le Istruzioni per la compilazione della dichiarazione IMU per il 2012 (di cui al D.M. 30 ottobre 2012) quanto la disciplina della TASI (L. n. 143 del 2013, art. 1, comma 672), nel precisare che per "durata del contratto di leasing" deve intendersi tutto il periodo che va dalla data di stipulazione del contratto a quella di riconsegna del bene, comprovata da apposito verbale, non hanno introdotto nel sistema alcun elemento di novità/specialità, essendosi limitate, piuttosto, a confermare (esplicitare) l'efficacia anche agli effetti del diritto tributario di una regola generale in tema di locazione finanziaria.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.5.6. Il primo degli argomenti di segno contrario fa leva sulla formulazione letterale del D.L. n. 23 del 2011, art. 9, comma 1, che pone l'obbligazione tributaria in capo all'utilizzatore "per tutta la durata del contratto".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Si tratta, però, di un classico esempio di tautologia. A ben vedere, infatti, l'argomento in esame può parafrasarsi in questi termini: "la "durata del contratto" alla quale fa riferimento al D.L. n. 23 del 2011, art. 9, comma 1, non comprende il periodo che va dalla comunicazione della risoluzione alla riconsegna del bene perché il D.L. n. 23 del 2011, art. 9, comma 1, fa riferimento alla "durata del contratto"". Un argomento così strutturato, però, risulta privo di persuasività già sul piano logico, ancora prima che su quello giuridico, in quanto si risolve in un ragionamento che assume (implicitamente) come dato di partenza proprio il fatto (l'estraneità del periodo che va dalla risoluzione alla riconsegna del bene) che, invece, vorrebbe e dovrebbe dimostrare.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.5.7. Occorre evitare l'indebita confusione di due piani - quello delle conseguenze del ritardo dell'utilizzatore nella restituzione del bene all'impresa di leasing nei rapporti tra le parti, da un lato, e quella delle conseguenze del medesimo fatto nel rapporto d'imposta tra il soggetto passivo e l'ente impositore - che sono e debbono mantenersi del tutto distinti tra loro, siccome afferenti rapporti (obbligatori) parimenti diversi (l'uno di carattere privatistico, l'altro di carattere pubblicistico).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il problema di stabilire dove (in capo a chi) si collochi la soggettività passiva dell'IMU per il periodo di durata del suddetto ritardo si pone in relazione all'esigenza di tutela di un interesse generale (alla corretta applicazione dei tributi). In quanto tale, esso non può trovare la propria soluzione che all'interno dei principi del sistema normativo tributario e, particolarmente, nel principio della capacità contributiva.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
A ben vedere, del resto, gli artt. 1591 e 1526 c.c. assumono rilevanza nel senso della conferma che tali norme offrono in ordine alla persistenza (e, quindi, nella "durata") del rapporto contrattuale pur dopo la risoluzione o la scadenza del termine finale del contratto e fino alla restituzione dell'immobile.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.5.8. Né, come si è visto, in senso ostativo alla tesi che si è avallata potrebbe invocarsi l'argomento per cui, a seguito della risoluzione del contratto, l'utilizzatore diventerebbe un mero detentore del bene. Invero, per il diritto civile, come si è già visto, l'utilizzatore in leasing non è mai possessore in senso proprio (giacché non dispone del bene in virtù di un diritto reale di godimento idoneo a conferirgli, appunto, il possesso ex art. 1140 c.c.), ma solo un detentore. Ciò rappresenta un ulteriore elemento a conferma del fatto che, di per sé, la risoluzione anticipata del contratto non può produrre l'effetto di apportare quella modificazione sostanziale minima necessaria alla situazione giuridica dell'utilizzatore che, sola, potrebbe giustificare in diritto il trasferimento della responsabilità del tributo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2. In definitiva, il ricorso merita di essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, accogliendosi il ricorso originario della contribuente. L'assenza di precedenti specifici sul tema e la obiettiva opinabilità della questione giustificano la compensazione integrale delle spese con riferimento ai gradi di merito, laddove le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<div style="text-align: center;">
P.Q.M.</div>
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente; compensa per intero le spese relative ai gradi di merito e condanna la resistente al rimborso, in favore del ricorrente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 3.800,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-74948516894435658122019-05-24T11:34:00.000+02:002019-10-15T11:45:05.144+02:00Trib. Torino, 22/3/19<div style="text-align: justify;">
<i>E' reputata legittima la clausola risolutiva espressa che prevede, in caso di inadempimento del conduttore ed indipendentemente dalla natura del contratto di locazione, che il locatore abbia, oltre al diritto di trattenere i canoni già ricevuti, il diritto ad ottenere la liquidazione in via anticipata dei canoni a scadere, attualizzati, detratto il valore di vendita dei beni retrocessi, ciò non realizzando di per sé un indebito arricchimento di una parte in pregiudizio dell'altra.</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i>Per l'effetto, deve essere accolta la domanda della concedente volta all'ottenimento della corresponsione dei canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione del contratto, con gli interessi legali dalle singole scadenze al saldo, dei canoni a scadere, con gli interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo, e del diritto di opzione ai sensi del contratto di locazione finanziaria, detratto il valore di mercato del bene oggetto del contratto di leasing provato dalla concedente sulla base di una relazione peritale (non essendo lo stesso ancora stato venduto o ricollocato).</i></div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-76577053657440598662019-04-30T17:33:00.000+02:002019-10-31T08:59:11.007+01:00Cass. civ. Sez. I, 29/3/19, n. 8980<div style="text-align: justify;">
<i>"La L. 124/17 ha tipizzato la locazione finanziaria quale fattispecie negoziale autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà, in conformità a tutti i più recenti interventi legislativi in materia ed in particolare alla disciplina prevista dalla L. Fall., art. 72 quater.</i><br />
<i>Da ciò consegue l'applicabilità alla fattispecie in esame, in via analogica, della disciplina dettata dalla L. Fall., art. 72 quater, in conformità ad un indirizzo interpretativo che, pur disatteso da questa Corte, era stato affermato da larga parte della giurisprudenza di merito.</i><br />
<i>Tale norma, pur dettata in relazione all'ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing derivi da una scelta del curatore e non dall'inadempimento dell'utilizzatore, è del tutto coerente con la fisionomia di tale tipo negoziale e con la particolare disciplina della risoluzione dettata dalla nuova normativa, dovendo ritenersi definitamente superato il ricorso in via analogica alla disciplina recata dall'art. 1526 c.c. 4.10. Non si tratta dunque di attribuire carattere retroattivo (in assenza di norme di diritto transitorio) alla nuova disciplina portata dalla L. n. 124 del 2017, ma di fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell'ordinamento vigente, posto che l'attività ermeneutica non può dispiegarsi "ora per allora", ma all'attualità".</i><br />
<br />
<a name='more'></a><br /><br />
Svolgimento del processo</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Con ricorso L. Fall., ex art. 98 la Aquileia Capital Service srl (già Heta Asset Resolution Italia srl), esponeva che:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
- in data 5.12.2006 era stato stipulato un contratto di locazione finanziaria con la Pi. & M. snc, con consegna dell'immobile all'utilizzatrice, in data 21.4.2008;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
- il contratto di leasing prevedeva una maxi rata iniziale, pari ad 86.800,00 Euro e n. 179 rate successive, dell'importo di 7.078,00 Euro ciascuna, oltre ad un'opzione d'acquisto di 180.000,00 Euro, alla data del 21.4.2023;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
- in data 16.10.2012 il contratto era stato ceduto alla (OMISSIS) srl e nell'atto di cessione era stato rideterminato il piano finanziario del contratto;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
- nel corso del rapporto contrattuale la (OMISSIS) aveva interrotto il versamento dei canoni pattuiti ed a seguito del suo perdurante inadempimento, Heta, con raccomandata del 24.4.2015, aveva comunicato all'utilizzatrice la risoluzione del contratto, intimandole la restituzione dell'immobile ed il pagamento delle residue somme dovute;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
- la (OMISSIS) aveva spontaneamente consegnato il bene;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
- al momento del rilascio risultavano non pagati dalla (OMISSIS) n. 23 canoni di locazione oltre ad indicizzazione ed interessi, come da fatture già emesse, per un importo di complessivi 149.318,33 Euro.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tanto premesso la Aqulieia presentava tempestiva istanza di ammissione al passivo per l'importo di 149.318,33 Euro, deducendo che tale importo era dovuto in forza dell'art. 8 del contratto di leasing. Tale clausola prevedeva che, in caso di risoluzione anticipata per inadempimento dell'utilizzatore, i canoni versati fino al momento della risoluzione restassero acquisiti al concedente e che l'utilizzatore dovesse corrispondere i canoni scaduti sino alla data della risoluzione;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
veniva inoltre pattuita la possibilità per il concedente di richiedere il pagamento dei canoni ancora a scadere (ed attualizzati), dedotto l'eventuale importo ricavato dalla vendita del bene (o da altra forma di ricollocazione) ovvero il valore del bene ricavato da perizia di stima.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il G.D. rigettava la domanda di insinuazione al passivo, deducendo che, ai sensi dell'art. 1526 c.c. la domanda proposta avrebbe dovuto essere completa in tutte le richieste ex art. 1526 c.c. prevedendo quindi l'offerta di restituzione dei canoni all'utilizzatore, con possibilità di pretendere, a titolo risarcitorio, la differenza tra corrispettivo contrattuale a carico dell'utilizzatore e valore del bene secondo i prezzi correnti al tempo della liquidazione, fermo il diritto del fallimento alla restituzione dei canoni, per il quale veniva fatta riserva di agire in separata sede.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il tribunale di Mantova, con decreto del 16.3.2017 rigettava l'opposizione L. Fall., ex art. 98 proposta dalla ricorrente e confermava la pronuncia di rigetto della relativa insinuazione al passivo del fallimento.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, la Aquileia Capital Services srl.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Resiste con controricorso il Fallimento (OMISSIS) srl.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Con ordinanza interlocutoria del 14 giugno 2019, questa Corte, rilevata la particolare rilevanza della questione relativa alla risoluzione del contratto di leasing, anche alla luce della disciplina introdotta dalla L. 4 agosto 2017 n. 124 (art. 1, commi 136-140), ha rinviato la causa alla pubblica udienza.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In prossimità dell'odierna udienza collegiale entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 codice di rito.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Motivi della decisione</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1526 c.c., degli artt. 1322, 1362, 1363 e 1382 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere il tribunale erroneamente applicato la disposizione dell'art. 1526 c.c. ed aver ritenuto che la relativa disciplina prevalesse sulle clausole del contratto di leasing concluso dalle parti.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Con il secondo mezzo si denuncia la violazione dell'art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per assenza di motivazione del decreto impugnato.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il terzo motivo denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per non avere il Tribunale considerato il contenuto della clausola penale statuita nel contratto di leasing tra le parti.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
I motivi, che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono fondati.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1. La questione posta dai motivi di ricorso concerne l'applicabilità al caso di specie della disciplina dettata dall'art. 1526 c.c. per regolare la risoluzione del contratto di leasing, ritenuta dal prevalente indirizzo della giurisprudenza di carattere inderogabile, in quanto posta da una norma imperativa diretta a correggere e ripristinare l'equilibrio sinallagmatico mediante l'affermazione di una regola operativa di carattere generale, che prevale sulla diversa disciplina pattuita dalle parti.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel caso di specie l'art. 8 del contratto prevedeva la seguente clausola, riportata nel corpo del ricorso:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
"(...) in ogni caso i corrispettivi periodici comunque pagati resteranno acquisiti al locatore per l'intero loro ammontare. All'utilizzatore sarà fatto obbligo di pagare i corrispettivi periodici maturati fino alla risoluzione del contratto, oltre agli interessi di mora nella misura convenzionalmente pattuita (...). Il locatore ha altresì la facoltà di richiedere all'utilizzatore il pagamento di un importo pari alla somma dei corrispettivi periodici a scadere, attualizzati al tasso base (...).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dall'importo cosi determinato sarà dedotto l'eventuale ricavato della vendita del bene, ovvero l'importo assunto a base di calcolo nell'ipotesi di diversa riallocazione del bene (...). In caso di bene invenduto o non ricollocato - purché effettivamente riconsegnato al Locatore - sarà dedotto il valore attribuito a tale bene secondo stima commerciale, compiuta dal locatore (...)." 1.1 Il Tribunale, premessa la pacifica qualificazione del contratto in oggetto come "leasing traslativo", ha escluso l'ammissione allo stato passivo del fallimento dei crediti insinuati dall'odierna ricorrente e corrispondenti ai canoni già scaduti fino alla risoluzione del contratto, ritenendo che l'applicazione, seppure in via analogica, della disciplina dettata in tema di risoluzione per inadempimento del contratto dall'art. 1526 c.c. al leasing traslativo, non sia sussidiaria rispetto alla volontà delle parti, bensì inderogabile, comportando, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, la restituzione dei canoni già corrisposti, salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell'utilizzo dei beni, oltre al risarcimento dei danni.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da ciò l'esclusione del diritto del concedente al pagamento dei canoni scaduti, non potendo farsi applicazione della disciplina pattizia che, con la clausola contenuta all'art. 8 prevedeva la possibilità di trattenere, da parte della società di leasing, i canoni di locazione già pagati.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nella memoria ex art. 378 c.p.c. la ricorrente ripropone la questione, già sollevata nella memoria ex at. 380 bis.1 c.p.c., dell'applicabilità al caso di specie dello ius superveniens costituito dalla disciplina del contratto di leasing contenuta dalla L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140 e ciò sotto due profili:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
- l'applicabilità diretta della nuova disciplina, che regola in modo specifico la risoluzione negoziale per inadempimento dell'utilizzatore, al contratto per cui è causa, seppure concluso e risolto in data anteriore all'entrata in vigore della novella, in quanto non sarebbero del tutto esauriti gli effetti derivanti dal fatto generatore (risoluzione del contratto);</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
- l'applicabilità in via analogica della novella e dei suoi principi ispiratori alla fattispecie in esame, in assenza di una disciplina legislativa che regolasse i contratti di leasing pregressi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ritiene il Collegio che vada senz'altro presa in esame tale seconda opzione, fondata sulla generale portata della novella ai fini dell'interpretazione sistematica, pure in assenza di una diretta applicabilità della stessa.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2. Già questa Sezione, con la recente pronuncia n. 8503 del 2018, aveva segnalato una possibile interferenza nel dibattito sulla portata della L. Fall., art. 72 quater e sulla natura del leasing finanziario della L. n. 124 del 2017. In tale occasione, tuttavia, la questione non era stata presa in esame perché estranea alla materia del contendere.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3. La L. n. 124 del 2017, com'è noto, ha introdotto nel nostro ordinamento una definizione unitaria del contratto di leasing finanziario, senza recepire la tradizionale distinzione di matrice giurisprudenziale tra leasing "di godimento" e leasing "traslativo", disciplinando altresì presupposti ed effetti della risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Prima di tale tipizzazione non esisteva nel nostro ordinamento una definizione e disciplina di portata generale del contratto di leasing finanziario: non si pone, dunque, in relazione a tale fattispecie negoziale un problema di successione, in senso stretto, di leggi nel tempo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Si tratta piuttosto di stabilire se, ed in che misura, il paradigma normativo ed i principi recati dalla novella legislativa possano trovare ingresso, pur in assenza di una loro diretta applicabilità, nel presente giudizio.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3.1. Conviene premettere che, come questa Corte ha ripetutamente affermato, i principi della rilevabilità, anche d'ufficio, dello ius superveniens e della sua applicabilità nei giudizi in corso non operano indiscriminatamente ma devono essere coordinati con quelli che regolano l'onere dell'impugnazione e le relative preclusioni, con la conseguenza che la loro operatività trova ostacolo nel giudicato interno formatosi in relazione alle questioni, su cui avrebbe dovuto incidere (a vario titolo) la normativa sopravvenuta, e nella conseguente inesistenza di controversie in atto sui relativi punti (Cass. 6101 del 17 marzo 2014).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In particolare, nel giudizio di legittimità, la rilevanza dello ius superveniens presuppone che la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell'ordinamento in materia di processo per Cassazione - e segnatamente quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l'individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse - impediscono di rilevare d'ufficio o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva ai sensi dell'art. 378 c.p.c. regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza di disposizioni, afferenti ad un profilo che non sia stato investito, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano quindi una questione non sottoposta al giudice di legittimità (Cass. 19617 del 24.7.2018).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel caso di specie la novella incide direttamente sugli effetti della risoluzione del contratTo di leasing e sulla disciplina applicabile, questione proposta dalla ricorrente sin dall'atto introduttivo del presente giudizio ed oggetto del suo ricorso per cassazione.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3.2. La censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in particolare, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove applicabili al rapporto dedotto, atteso che il giudizio di legittimità non ha ad oggetto l'operato del giudice, ma la (perdurante) conformità della decisione adottata all'ordinamento giuridico (Cass. Sez.U. 21691/2016).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3.3. Inoltre, anche avuto riguardo alla tutela del contraddittorio, si osserva che la questione dell'applicabilità della novella recante la disciplina del leasing finanziario al caso di specie, riproposta nella memoria ex art. 378 c.p.c., era stata già sollevata dal ricorrente, con precedente memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., nel procedimento in camera di consiglio, all'esito del quale, considerata la rilevanza nomofilattica della causa, ne è stata disposta la trattazione alla pubblica udienza.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4. Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, occorre verificare, in assenza di giudicato interno sul punto, se la statuizione del provvedimento impugnato che ha affermato l'applicabilità dell'art. 1526 c.c. (e la sua natura di norma inderogabile, prevalente sulla disciplina pattizia) sia conforme all'ordinamento giuridico anche alla luce delle disposizioni emanate successivamente alla pubblicazione del provvedimento impugnato e dei principi da esse introdotti.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.1. Conviene premettere che il contratto in esame deve senz'altro qualificarsi come leasing finanziario (o locazione finanziaria), che va tenuto distinto dal c.d. leasing operativo, fattispecie che ricorre quando è lo stesso produttore a concedere verso corrispettivo in godimento il bene per un periodo tendenzialmente inferiore alla vita economica del bene, estranea al presente giudizio.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.2. Occorre partire dalla considerazione che, come già evidenziato, fino all'emanazione della L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140 non esisteva nel nostro ordinamento una disciplina organica del contratto di leasing o locazione finanziaria, benchè esso fosse oggetto di numerose disposizioni legislative settoriali, a partire dalla L. n. 183 del 1976, art. 17 (relativa all'intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-1980).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da ciò la conclusione che, fino alla recente novella, il leasing dovesse qualificarsi come contratto atipico o innominato.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.3. In assenza di una disciplina organica del leasing, com' è noto, a partire dalle sentenze della Cassazione n. 5570, 5572 e 5573 del 13 dicembre 1989, confermate con la sentenza delle Sez.U.n. 65/1993, si è affermato in giurisprudenza un orientamento fondato sulla distinzione tra "leasing di godimento" e "leasing traslativo", quest'ultimo relativo a beni atti a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all'importo convenuto per l'opzione, ed i cui canoni scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.4. Si è inoltre consolidato l'indirizzo interpretativo secondo cui, nel leasing traslativo la disciplina dettata dall'art. 1526 c.c. in materia di risoluzione del contratto ha carattere inderogabile, trattandosi di norma imperativa con valore di principio generale di tutela di interessi omogenei e strumento di controllo dell'autonomia negoziale delle parti (Cass. 19732/2011).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.5. Pure a seguito dell'introduzione nell'ordinamento (tramite il D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 59) della L. Fall., art. 72 quater, che ha dettato un'unica disciplina per la locazione finanziaria, valevole sia per il leasing di godimento che per quello traslativo (Cass.1.3.2010 n. 4862), questa Corte ha ritenuto che non potesse ritenersi superata la tradizionale distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e le differenti conseguenze che da essa derivano nell'ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore (Cass. n. 8687/2015; 2538/2016), affermando che la disposizione dell'art. 72 quater si applicava ad una situazione particolare(scelta del curatore di sciogliersi dal contratto pendente alla data di fallimento) e la sua disciplina non aveva incidenza al di fuori della materia fallimentare e dei rapporti giuridici pendenti.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La disciplina della L. Fall., art. 72 quater, tuttavia, ha una particolare rilevanza sul piano sistematico, in quanto, nonostante sia stata emanata successivamente all'affermarsi dell'indirizzo giurisprudenziale fondato sulla bipartizione del leasing finanziario in due fattispecie negoziali distinte e riconducibili a due diversi tipi contrattuali, riconduce ad unità tale contratto. Il leasing viene specificamente distinto dalla vendita con riserva di proprietà (il cui scioglimento è disciplinato dal successivo art. 73, mediante rinvio alla disciplina dell'art. 1526 c.c.), valorizzandone la causa di finanziamento, peraltro già desumibile dalla previsione degli artt. 1 e 106 TUB, i quali riservano alle banche ed agli altri intermediari finanziari la posizione di concedente nelle operazioni di locazione finanziaria.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.6. Successivamente, la L. n. 208 del 2015 (legge di stabilità del 2016) ha introdotto nell'ordinamento la figura del leasing immobiliare abitativo (che contempla una serie di agevolazioni fiscali e di garanzie dirette a favorire l'utilizzo del leasing per l'acquisizione dell'abitazione principale) prevedendo anche in tal caso un'unica figura negoziale, caratterizzata dalla finalità di finanziamento.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Anche in questo caso, peraltro, si tratta di una figura particolare, che ha specifici presupposti ed un particolare ambito applicativo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.7. Da ultimo, però, come sopra evidenziato, la Legge per il mercato e la concorrenza n. 124/2017, all'art. 1, ha introdotto una definizione del leasing finanziario ed ha dettato una compiuta disciplina relativa a presupposti, effetti e conseguenze della risoluzione per inadempimento oltre a norme di coordinamento con altre disposizioni che richiamano tale fattispecie contrattuale.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>4.8. La nuova normativa ha dunque tipizzato la locazione finanziaria quale fattispecie negoziale autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà, in conformità a tutti i più recenti interventi legislativi in materia ed in particolare alla disciplina prevista dalla L. Fall., art. 72 quater.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il legislatore ha optato per la ricostruzione unitaria del contratto di leasing ed ha dunque disatteso il tradizionale indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, escludendo la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e facendo così venir meno una bipartizione che non è fondata su alcuna norma di legge.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.9. In tale prospettiva, la nuova normativa si pone in linea di diretta continuità con la previsione della L. Fall., art. 72 quater e con la particolare disciplina dello scioglimento del contratto di leasing, che, come già evidenziato, è ivi delineata secondo un paradigma unitario.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Da ciò consegue l'applicabilità alla fattispecie in esame, in via analogica, della disciplina dettata dalla L. Fall., art. 72 quater, in conformità ad un indirizzo interpretativo che, pur disatteso da questa Corte, era stato affermato da larga parte della giurisprudenza di merito.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Tale norma, pur dettata in relazione all'ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing derivi da una scelta del curatore e non dall'inadempimento dell'utilizzatore, è del tutto coerente con la fisionomia di tale tipo negoziale e con la particolare disciplina della risoluzione dettata dalla nuova normativa, dovendo ritenersi definitamente superato il ricorso in via analogica alla disciplina recata dall'art. 1526 c.c. 4.10. Non si tratta dunque di attribuire carattere retroattivo (in assenza di norme di diritto transitorio) alla nuova disciplina portata dalla L. n. 124 del 2017, ma di fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell'ordinamento vigente, posto che l'attività ermeneutica non può dispiegarsi "ora per allora", ma all'attualità.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
E ciò, a maggior ragione quando, come nel caso di specie, l'ordinamento abbia organicamente disciplinato, dando così luogo ad un nuovo "tipo" negoziale, un contratto che, pur diffuso nella pratica, non poteva qualificarsi come contratto tipico e la cui disciplina veniva dunque desunta, in via analogica, da altri contratti tipici (nel nostro caso locazione o vendita con riserva di proprietà), in virtù di una scelta ermeneutica che, pur riconducibile ad un consolidato indirizzo di questa Corte, non può che operare su un piano meramente interpretativo, quale è quello proprio del formante giurisprudenziale.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tale indirizzo è dunque destinato a cedere il passo davanti ad una precisa presa di posizione del legislatore, che, in quanto introduce una disciplina che integra una obiettiva (ed evidentemente consapevole) soluzione di continuità rispetto ad esso, non può non riverberarsi sulla valutazione ed interpretazione delle situazioni pregresse non ancora definite.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5. Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatasi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dalla L. Fall., art. 72 quater, che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La disciplina della L. n. 124 del 2017 ed il procedimento di realizzazione sul bene ivi regolato consente di superare i dubbi interpretativi sorti in ordine al trattamento, in ambito concorsuale, del credito del concedente all'esito della risoluzione negoziale per inadempimento del l'utilizzatore.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5.1. Come già rilevato nella pronuncia n. 15701 del 23.5.2011 di questa Corte, l'applicazione della disciplina della L. Fall., art. 72 quater anche al caso di risoluzione del contratto verificatasi prima della dichiarazione di fallimento implica che anche in questo caso il concedente dovrà evidentemente insinuarsi al passivo fallimentare per poter allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l'importo incassato.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Alla stregua di quanto previsto per i crediti pignoratizi e per quelli garantiti da privilegio speciale L. Fall., ex art. 53, la vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene, disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Sulla base del valore di mercato del bene sarà determinato l'eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest'ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, corrispondente all'ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data di fallimento e dei canoni a scadere, solo in linea capitale(in coerenza con la previsione della L. Fall., art. 55), oltre al prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione; eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene, potranno farsi valere in sede di riparto.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Alla luce della chiara indicazione della novella, del tutto coerente con l'indirizzo già sostenuto dalla citata pronuncia n. 15701 del 23.5.2011 di questa Corte, va dunque esclusa, in quanto del tutto superflua, l'insinuazione in via tardiva della differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e la minore somma ricavata, pure affermato da un precedente arresto di questa Corte (Cass. 21213 del 2017) o l'ammissione di detto credito con riserva.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5.2. Anche il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, (D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 pubblicato nella G.U. del 14 febbraio 2019) all'art. 177 detta una disciplina della locazione finanziaria pienamente coerente con la disciplina della L. Fall., art. 72 quater e della L. n. 124 del 2017, prevedendo che nella liquidazione giudiziale del patrimonio dell'utilizzatore, in caso di scioglimento del contatto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela fallimentare l'eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata dalla vendita a valori di mercato, dedotta una somma pari all'ammontare di eventuali canoni scaduti e non pagati fino alla data dello scioglimento e dei canoni a scadere, solo in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione finale di acquisto.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5.3. La medesima disposizione, al comma 2, prevede che il concedente ha diritto di insinuarsi allo stato passivo per la differenza tra il credito vantato alla data di apertura della liquidazione giudiziale e quanto ricavabile dalla nuova allocazione del bene secondo la stima disposta dal giudice delegato.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Viene dunque espressamente prevista la stima del giudice delegato quale necessario presidio per determinare il valore di mercato del bene, già desumibile dall'attuale sistema della legge fallimentare, seppure non esplicitata nella disposizione della L. Fall., art. 72 quater.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5.4. Anche la nuova regolazione della crisi d'impresa, che nonostante la (ampia) vacatio legis, fa ormai parte dell'ordinamento vigente, conferma dunque la scelta del legislatore, che ha trovato costante espressione in tutti i più recenti interventi in materia, univocamente ispirati alla configurazione unitaria del leasing finanziario e della previsione di una disciplina sostanzialmente omogenea della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore e dello scioglimento (per scelta del curatore) di quello che è ormai, a tutti gli effetti, un contratto tipico.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
6.Può dunque enunciarsi il seguente principio di diritto:</div>
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<br /></div>
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"Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing finanziario per inadempimento dell'utilizzatore, verificatasi in data anteriore alla data di entrata in vigore della L. n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136 - 140), sono regolati dalla disciplina della L. Fall., art. 72 quater, applicabile anche al caso di risoluzione del contratto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell'utilizzatore.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In caso di fallimento dell'utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l'importo incassato.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La vendita avverrà a cura dello stesso concedente, previa stima del valore di mercato del bene disposta dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Sulla base del valore di mercato del bene, come stabilito sulla base della stima su menzionata, sarà determinato l'eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest'ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, pari ai canoni scaduti e non pagati ante-fallimento ed ai canoni a scadere, in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Eventuali rettifiche, sulla base di quanto effettivamente realizzato dalla vendita del bene, potranno farsi valere in sede di riparto".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
7. Il ricorso va dunque accolto ed il decreto impugnato va cassato, con rinvio della causa al Tribunale di Mantova, che si conformerà al principio di diritto sopra enunciato.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
P.Q.M.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La Corte accoglie il ricorso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Mantova, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-37336621552693050312017-12-11T09:20:00.000+01:002019-10-31T09:21:47.211+01:00Trib. Udine, 20/4/17<div style="text-align: justify;">
In un contratto di locazione finanziaria, l'oggetto della clausola di indicizzazione deve ritenersi indeterminato o indeterminabile ove non venga proposta l'esatta formula di calcolo da applicarsi per ottenere le variazioni periodiche del piano di rimborso del capitale finanziato. Tale indeterminatezza porta a considerare l'oggetto della relativa pattuizione come nullo ex art. 1346 c.c., ma in conseguenza della rilevata nullità non pare applicabile né l'art. 1284 terzo comma c.c. (tasso legale) né la disciplina sostitutiva di cui all'art. 117 comma 7 T.U.B.: la nullità non colpisce infatti le clausole determinative degli interessi ultra-legali in sé dovuti dal cliente al momento della stipula, ma solo quella della loro indicizzazione pro futuro.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-44733254008077498512017-09-25T21:49:00.000+02:002017-10-16T21:49:45.173+02:00Cass. civ. Sez. I, Ord., 13/9/17, n. 21213<div style="text-align: justify;">
<i>In caso di scioglimento del contratto di leasing ad opera del curatore fallimentare, il concedente, per i crediti scaduti, insinuandosi al passivo in sede di verifica dei crediti, può soddisfarsi in sede fallimentare, in quanto il credito è sorto anteriormente al concorso e detti crediti andranno pacificamente ammessi, al lordo degli interessi di mora, alla data della dichiarazione di fallimento. Per i canoni a scadere, invece, il creditore ha soltanto diritto alla restituzione del bene, oltre al diritto eventuale (per il quale vi è incertezza sul se verrà ad esistenza e su quale eventualmente sarà il preciso ammontare) di insinuarsi nello stato passivo, in via tardiva, per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato, o meglio la minore somma ricavata rispetto a detto credito dalla nuova allocazione del bene.</i></div>
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<br /></div>
<div style="text-align: center;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
Svolgimento del processo</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1. ICCREA Banca Impresa S.p.A. (da qui ICCREA) ricorre per cassazione nei confronti del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. articolando tre motivi avverso il decreto con il quale il Tribunale di Bergamo ha rigettato l'opposizione al passivo fallimentare proposta da ICCREA, così confermando il provvedimento del Giudice Delegato che aveva accolto la rivendica e ammesso al passivo in via chirografaria i soli interessi sui canoni scaduti (rideterminati secondo le norme codicistiche) dichiarando, invece, inammissibile, allo stato, la domanda di ammissione al passivo per la quota capitale dei canoni scaduti e a scadere.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2. Il Tribunale, infatti, con decreto n.10934/2010, ha ritenuto sussistere, nell'art. 72-quater della legge fallimentare (LF), una disciplina speciale dello scioglimento dei contratti, prevalente su quella dell'art. 72 LF. Di talchè, il concedente, in caso di scioglimento del contratto di leasing, avrebbe diritto alla restituzione del bene restando, tuttavia, tenuto a versare alla curatela l'eventuale differenza tra la maggior somma ricavata dalla vendita, o da altra collocazione del bene, e il credito residuo in linea capitale. In caso contrario, laddove la somma ottenuta con la ricollocazione non soddisfacesse il suo credito, avrebbe diritto a insinuarsi nello stato passivo per la differenza. Condizione per l'insinuazione, sia per i canoni scaduti che per quelli a scadere, sarebbe, appunto, l'avvenuta collocazione dei beni. Inoltre, non sussisterebbe alcun diritto all'indennizzo atteso lo scioglimento del contratto, la non individuazione dei suoi presupposti e l'inapplicabilità dell'art. 80 L.f. in quanto relativo alla locazione immobiliare.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3. Il Fallimento resiste con controricorso.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4. ICCREA ha depositato memoria illustrativa del proprio ricorso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Motivi della decisione</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1. Con il primo motivo di ricorso (omessa, insufficiente, contradditoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione agli artt. 72 e 72-quater LF, nonchè violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 72 e 72-quater LF) il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui, nell'applicare le norme fallimentari, pertinenti alla vicenda, interpreta male i concetti che gli artt. 72 e 72 quater LF richiamano, assimilando e confondendo il credito per canoni maturati alla data del fallimento con il credito residuo in linea capitale.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2. Con il secondo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 72 e 72-quater LF) il ricorrente censura la decisione impugnata, nella parte in cui avrebbe considerato derogato l'art. 72 LF, benchè espressamente richiamato all'art. 72-quater LF, comma 1 sulla base di un presunto rapporto di specialità fra le due norme, negando che l'intero credito per canoni scaduti si sarebbe dovuto ammettere senza limiti al passivo fallimentare.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2.1. Pertanto, viene formulato il seguente quesito di diritto: "se è vero che l'art. 72-quater, richiamando l'art. 72, consente al contraente adempiente, e quindi la società di locazione finanziaria, di far valere nel passivo l'intero credito maturato antecedentemente alla dichiarazione di fallimento ed in costanza di contratto, precedente allo scioglimento disposto dal curatore ai sensi dell'art. 72-quater, comma 1?".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3. Con il terzo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 72 e 72-quater LF) il ricorrente censura la decisione impugnata per aver indebitamente rinviato parte del credito maturato prima della dichiarazione di fallimento ad una futura ed incerta valutazione del rapporto di credito residuo, composto da ulteriori e diversi elementi, e valore di allocazione.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3.1. Al fine di una maggiore chiarezza è, altresì, formulato il seguente quesito di diritto: "precisi la Suprema Corte se è vero che l'art. 72-quater e l'art. 72 LF, non prevedano che la banca concedente debba attendere la vendita del bene per poter insinuare al passivo tutto il proprio credito, ivi compreso quello integralmente maturato sino alla data di fallimento e relativo a prestazioni scadute, se altresì le norme in commento prevedano che il credito maturato sino alla data di fallimento e relativo a prestazioni scadute debba o possa essere ammesso al passivo in sede di verifica dei crediti, e che l'eventuale ulteriore credito derivante da una non sufficiente vendita dei beni rispetto al valore residuo in linea capitale possa essere ammesso al passivo - a quel punto in via tardiva atteso che i beni non possono che essere rivenduti dopo l'accoglimento della rivendica e quindi a stato passivo chiuso -, possa essere oggetto per la differenza di domanda di ammissione tardiva ex art. 101 LF".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4. Tutti i motivi sono fondati e, data la loro interconnessione, possono essere trattati congiuntamente.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.1. Nel novero dei contratti pendenti al momento della dichiarazione di fallimento e che restano sospesi, secondo la regola generale di cui all'art. 72, comma 1, LF, rientra anche il leasing, rispetto al quale lo scioglimento si pone come una facoltà che l'ordinamento riserva al curatore in presenza di una (giusta) causa che rende impossibile il pagamento, ovvero il fallimento.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.2.Qualora il curatore opti per lo scioglimento, la determinazione del credito del concedente è regolata dall'art. 72-quater, commi 2 e 3, LF, norma che, ai fini endoconcorsuali, non tiene più conto della distinzione consolidata tra il leasing traslativo e il leasing di godimento, introducendo una disciplina unitaria, improntata alla causa del contratto di finanziamento.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.3. La prima questione posta dal ricorso è se l'art. 72-quater LF, richiamando l'art. 72 LF, consenta al contraente adempiente, e quindi al concedente, di far valere nel passivo il credito maturato ante dichiarazione di fallimento e in costanza di contratto, precedente allo scioglimento disposto dal curatore ai sensi dell'art. 72-quater, comma 1, LF. 4.4. L'argomento è stato già affrontato da questa Corte, in primo luogo ed implicitamente, con la sentenza n. 4862 del 2010, in secondo luogo ed espressamente dalla sentenza n. 15701 del 2011.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.5. Nella vicenda esaminata dalla prima pronuncia il creditore ricorrente era stato già ammesso al passivo del fallimento dell'utilizzatore per il credito relativo ai canoni scaduti e rimasti insoluti prima della dichiarazione di fallimento e la Corte, nell'interpretare l'art. 72-quater LF nella parte relativa alla possibilità di soddisfare il credito residuo del concedente fuori dal concorso con gli altri creditori, ha implicitamente confermato la decisione del giudice del merito con la quale era stato già ammesso al passivo il credito per canoni scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Per l'effetto, la corretta interpretazione della locuzione "canoni residui", utilizzata nella citata sentenza, consisterebbe in tutti quei canoni ancora non corrisposti, e che l'utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere, qualora il contratto avesse avuto piena e completa esecuzione sulla base di quanto pattuito. Pertanto, illegittima non sarebbe la pretesa di insinuarsi al passivo per i canoni già scaduti alla data del fallimento, ma quella per i canoni non ancora scaduti al momento della dichiarazione di fallimento, dei canoni cioè la cui maturazione presuppone il permanere della utilizzazione e, quindi, il godimento di un bene, che, invece, con lo scioglimento del contratto, viene restituito al concedente e così rientra nella sua disponibilità, tant'è vero che questi può immediatamente provvedere ad una nuova allocazione dello stesso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.6. In senso conforme questa Corte si è espressa con la seconda sentenza sopra citata, la quale ha cassato il provvedimento del giudice di merito per aver dichiarato inammissibile, poichè anteriore alla riallocazione del bene oggetto di contratto, la domanda di insinuazione al passivo avanzata dal concedente per i canoni scaduti e non pagati alla data di fallimento. Alla base della decisione, l'accostamento della disciplina dell'art. 72-quater LF, laddove consente al creditore di soddisfarsi sul bene oggetto del contratto di locazione finanziaria al di fuori del concorso, a quella dei creditori pignoratizi e di quelli garantiti da privilegio speciale ex art. 53 LF. Infatti questi ultimi, benchè destinati ad essere soddisfatti al di fuori del riparto dell'attivo fallimentare, mediante vendita diretta o indiretta del bene gravato da pegno o privilegio speciale, devono previamente chiedere l'ammissione del credito al passivo, sfuggendo, così, al concorso sostanziale ma non formale. Allo stesso modo il locatore, per il credito per il capitale residuo, a seguito della restituzione del bene, può immediatamente soddisfarsi al di fuori del concorso sostanziale, senza attendere il piano di riparto sulla somma incassata dalla riallocazione dello stesso, solo previa ammissione del credito al passivo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.7. Occorre, tuttavia, fare una precisazione. <b>Il credito vantato dal concedente si specifica in due segmenti. Il primo relativo ad una somma certa e determinata già alla data della dichiarazione di fallimento (rappresentato dai canoni scaduti e non pagati) ed il secondo relativo ad una somma indeterminata, variabile e dipendente dalla reazione del mercato alla nuova allocazione del bene (rappresentato dalla differenza tra il valore residuo del bene alla data di fallimento e quanto incassato, che può essere anche negativa). Appare, quindi, evidente che - per il primo segmento di credito - il concedente è legittimato ad insinuarsi ordinariamente al passivo e ad essere soddisfatto in sede fallimentare, indipendentemente dalla vendita o altra allocazione del bene in leasing, mentre l'ulteriore ed eventuale segmento di credito potrà essere insinuato solo a latere della collocazione stessa, da cui strettamente dipende.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.8. Di pari avviso, del resto, anche l'ordinanza di questa Corte n. 8687 del 2015 che ha ribadito il principio di diritto secondo cui "in caso di fallimento dell'utilizzatore e di opzione del curatore per lo scioglimento del vincolo contrattuale" il concedente "non può richiedere subito, mediante l'insinuazione al passivo ed ex art. 93 l.fall., anche il pagamento dei canoni residui che l'utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere nell'ipotesi di normale svolgimento del rapporto di locazione finanziaria, in quanto con la cessazione dell'utilizzazione del bene viene meno l'esigibilità di tale credito, ma ha esclusivamente diritto alla restituzione immediata del bene ed un diritto di credito eventuale, da esercitarsi mediante successiva insinuazione al passivo, nei limiti in cui, venduto o altrimenti allocato a valori mercato il bene oggetto del contratto di leasing, dovesse verificarsi una differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e la minor somma ricavata dalla allocazione del bene cui è tenuto il concedente stesso, secondo la nuova regolazione degli interessi fra le parti direttamente fissata dalla legge".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.9. In altri termini e così rispondendo all'ulteriore quesito, non sussistendo motivi che permettano di superare l'orientamento consolidatosi (cfr. anche Cass. civ., Sez. 6 - 1, n. 17577 del 2015), deve affermarsi che: "<b>in tema di leasing, in caso di scioglimento del contratto ad opera del curatore fallimentare, il concedente, per i crediti scaduti, insinuandosi al passivo in sede di verifica dei crediti, può soddisfarsi in sede fallimentare, in quanto il credito è sorto anteriormente al concorso e detti crediti andranno pacificamente ammessi, al lordo degli interessi di mora, alla data della dichiarazione di fallimento. Per i canoni a scadere, invece, il creditore ha soltanto diritto alla restituzione del bene, oltre al diritto eventuale (per il quale vi è incertezza sul se verrà ad esistenza e su quale eventualmente sarà il preciso ammontare) di insinuarsi nello stato passivo, in via tardiva, per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato, o meglio la minore somma ricavata rispetto a detto credito dalla nuova allocazione del bene</b>".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5. Da quanto esposto consegue che la soluzione adottata dal Tribunale di Bergamo non è corretta e i motivi di ricorso devono essere accolti con la conseguente cassazione del provvedimento impugnato ed il rinvio della causa, davanti allo stesso tribunale che, in diversa composizione, deciderà nuovamente la vertenza uniformandosi al principio enunciato e regolando anche le spese di questa fase del giudizio.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
P.Q.M.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Bergamo in diversa composizione, anche per le spese di questa fase del giudizio.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-48969186904530463562017-06-05T21:40:00.000+02:002017-10-16T21:42:31.031+02:00Trib. Udine, 12/5/17<div style="text-align: justify;">
<i>Sono nulle le condizioni economiche contrattuali di un leasing immobiliare e di un contratto di finanziamento per lavori di ristrutturazione ad esso collegato per i seguenti diversi motivi: 1) Per indeterminatezza, ex art. 1346 c.c., delle condizioni economiche di indicizzazione dei tassi, (disciplinate nelle “Condizioni Particolari”); 2) per la la previsione contrattuale, di due criteri “difformi” di indicizzazione; 3) la variazione futura della misura dei canoni mensili e del rapporto di cambio tra Euro e Libor CHF con violazione dell’art. 117 co. 4 T.u.b.; 4) l’utilizzo di un parametro più sfavorevole al cliente rispetto al previsione pubblicizzata; 5) difformità della valuta rilevante nel rapporto con l’euro, tra contratto e foglio illustrativo; 6) mancata allegazione del piano di ammortamento e conseguente indeterminatezza per mancata indicazione del dato temporale (360 o 365 giorni); 7) mancata indicazione, al momento della stipula del reale tasso di cambio Euro/CHF, onde consentire al cliente l’individuazione dello spread applicato.</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><br /></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i>Fonte: <a href="http://www.quotidianogiuridico.it/documents/2017/05/26/indeterminatezza-del-corrispettivo-dovuto-dal-cliente-clausole-nulle">Quotidiano Giuridico</a></i></div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-8124882336444468182017-04-16T21:32:00.000+02:002017-10-16T21:33:07.700+02:00Trib. Vicenza, 28/3/17<div style="text-align: justify;">
<i>In caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, una volta detratto il corrispettivo della rivendita dell'imbarcazione (o del reimpiego in locazione finanziaria dello stesso natante), l'acquisizione da parte della Concedente di tutti i canoni del leasing, scaduti e non pagati e a scadere (ivi compreso l'importo del prezzo concordato per l'esercizio della facoltà di acquisto alla scadenza), attualizzati al momento della risoluzione, da un lato, viene a configurare, in concreto, la mera restituzione del capitale investito, il riconoscimento degli interessi di mora convenuti, il rimborso delle spese sostenute ed il conseguimento degli utili dell'operazione finanziaria, secondo lo schema tipico del contratto di leasing e, dall'altro, ad escludere un indebito arricchimento della Concedente in pregiudizio degli Utilizzatori inadempienti.</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i>Pertanto è valida la clausola risolutiva espressa contenuta nelle Condizioni Generali di Contratto che preveda il suddetto meccanismo, indipendentemente dalla natura, traslativa o di godimento, dello stipulato contratto di locazione finanziaria; è alla stessa clausola che deve farsi riferimento per la disciplina delle conseguenze derivanti dalla risoluzione del contratto di leasing, quale regolamentazione pattizia, pienamente valida, efficace e non vessatoria, prevalente sulla norma codicistica di cui all'art. 1526, comma 1, c.c., dettata in materia di vendita con riserva di proprietà.</i></div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-51806132333029869782017-04-13T16:52:00.000+02:002019-05-24T16:54:26.874+02:00App. Napoli, 11/01/17<div style="text-align: justify;">
Alla fattispecie del contratto di locazione finanziaria non sono applicabili le disposizioni del codice del consumo poiché, sebbene l'art. 128 del predetto testo normativo contenga una nozione ampia di "bene di consumo", di tal che interpreti più accreditati vi fanno rientrare qualsivoglia bene mobile, anche quelli registrati in pubblici registri ed anche le imbarcazioni e gli aeromobili, vale ad escludere l'applicabilità alla fattispecie concreta in esame la circostanza che l'acquisto di che trattasi sia avvenuto da parte di una società di leasing. E' vero infatti che l'utilizzatore ha legittimazione attiva rispetto a tutte le azioni esperibili dalla società di leasing che per suo nome e conto ha procurato l'acquisto oggetto di censura. Tuttavia, il predetto utilizzatore non può cumulare alla specifica tutela prevista per il contratto di compravendita stipulato dalla società di leasing nel suo interesse anche quella tutela di cui potrebbe beneficiare laddove avesse lui stesso in prima persona proceduto all'acquisto. Pertanto la scelta di acquistare un bene attraverso la stipula di un contratto di locazione finanziaria ragionevolmente preclude all'utilizzatore del bene la possibilità di esperire le tutele giuridiche previste a tutela del consumatore privato, che si trova a contrattare e ad acquistare, in nome e conto proprio, da un professionista.</div>
<br />Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-21100989348760229022017-01-19T20:50:00.000+01:002017-10-16T20:52:26.124+02:00App. Torino, 29/11/16<div style="text-align: justify;">
In caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore del contratto di leasing traslativo, ai sensi dell'art. 1526 c.c., al concedente deve essere riconosciuto un equo compenso per l'uso della cosa, il quale non può essere determinato nel mero valore locativo del bene, ma deve tenere conto anche del lucro cessante, ossia dell'utile non conseguito nel corso di tutto il rapporto in dipendenza della risoluzione anticipata dello stesso, il deprezzamento conseguente alla incommerciabilità del bene come nuovo e il logoramento per l'uso.</div>
<div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-80493183838801814572016-12-29T10:40:00.000+01:002017-09-23T10:42:09.684+02:00Trib. Treviso, 21/9/16<div style="text-align: justify;">
<i>Fonte: Contratti, 2016, n. 12, p. 1128</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="massge_testo" style="text-align: justify;">
Nel caso in cui il curatore del fallimento
dell'utilizzatore si sciolga dal contratto di leasing i canoni post
fallimento non vanno ammessi al passivo, in quanto con la cessazione
dell'utilizzazione del bene viene meno l'esigibilità di tale credito,
avendo il concedente esclusivamente diritto alla restituzione immediata
del bene ed un diritto di credito eventuale, da esercitarsi mediante
successiva insinuazione al passivo, nei limiti in cui dovesse
verificarsi una differenza tra il credito vantato alla data del
fallimento e la minore somma ricavata dalla allocazione del bene.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-21508847629215040182016-06-27T11:16:00.000+02:002017-09-14T11:31:47.503+02:00Trib. Firenze, 5/5/16<div style="text-align: justify;">
Nel contratto di leasing le parti hanno piena facoltà di disciplinare autonomamente gli effetti della risoluzione contrattuale per inadempimento della parte conduttrice, in quanto, fermo restando il diritto al risarcimento del danno, possono anche convenire che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d'indennità, salvo il diritto del giudice di ridurre detta indennità.</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
Non può dunque trovare applicazione l'obbligo di restituzione dei canoni percetti, proprio perché paralizzato dall'indennizzo ammesso dal secondo comma dell'art. 1526 c.c..</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
(<em>Occorre precisare che, conformemente a quanto previsto dall'art. 15 delle pattuizioni contrattuali, R., in sede monitoria, ha domandato il pagamento, oltre che dei canoni insoluti indicati nel ricorso per decreto ingiuntivo, maggiorati di interessi e spese, della penale convenzionale, pari ai 3/5 del totale dei canoni di locazione finanziaria (scaduti ed a scadere successivamente alla risoluzione del contratto) che sarebbero stati dovuti ove non fosse intervenuta la risoluzione de qua, evidentemente confidando di potere ricavare dalla futura vendita del bene già oggetto di leasing un importo sufficiente a coprire i 2/5 delle mensilità non contemplate dalla suddetta penale, evento che nel caso di specie non si è verificato, atteso che, come evidenziato, il ricavato della vendita si è rivelato insufficiente anche in relazione ai soli predetti 2/5 non domandati in sede monitoria, con conseguente certa congruità della menzionata penale convenzionale</em>).</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-63169148376848555462016-04-15T11:05:00.000+02:002017-09-14T11:11:56.107+02:00Trib. Udine, 29/2/16<div class="sent_normal" style="text-align: justify;">
La clausola di "rischio cambio" introduce nel contratto di leasing uno strumento finanziario, dotato di causa propria ed autonoma rispetto al contratto di leasing, la cui autonomia è sottolineata dalla liquidazione separata dei flussi finanziari che la sua esecuzione determina e dalla evidenza data nel contratto al suo carattere aleatorio.</div>
<div class="sent_normal" style="text-align: justify;">
Non si è dunque in presenza di un contratto complesso, la cui causa contrattuale (intesa come lo scopo, di contenuto economico, che le parti perseguono con la conclusione di uno specifico accordo) è unica, ma di un collegamento negoziale tra più contratti, ciascuno dotato della sua causa.</div>
<div class="sent_normal" style="text-align: justify;">
</div>
<div class="sent_normal" style="text-align: justify;">
La autonomia del rapporto contrattuale costituito con la clausola di "rischio cambio" comporta che le somme versate dall'utilizzatore in forza di essa non sono un corrispettivo del contratto di leasing; la sua natura di strumento finanziario imponeva invece alla banca concedente (che lo ha negoziato per conto proprio) il rispetto delle norme di condotta previste per gli intermediari finanziari dal D. Lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa regolamentare applicabile.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-86984720273445262232016-01-20T15:57:00.002+01:002016-11-04T16:08:31.483+01:00Leasing per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale<div align="justify">
Come noto la c.d. Legge di Stabilità 2016 (L. 208/15) ha tipizzato il contratto di locazione finanziaria per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale, riconoscendo ai privati la possibilità di finanziare anche l’acquisto o la costruzione della c.d. prima casa mediante il ricorso alla figura del leasing. </div>
<div align="justify">
Segnaliamo a tal proposito un esaustivo articolo pubblicato su <em>Altalex</em>, firmato da Giuseppe Ottavio Mannella.<br />
<a name='more'></a><br />
Dopo un excursus normativo sulla figura della locazione finanziaria nell'Ordinamento Italiano, l'Autore sottolinea come la dichiarata finalità della legge in questione sia quella di agevolare per i più giovani l'acquisto dell'abitazione di residenza attraverso l'utilizzo del leasing rispetto all'ordinario mutuo ipotecario. <br />
Rispetto a quest’ultimo il leasing promette infatti il vantaggio di un finanziamento in grado di coprire l’intero valore dell’abitazione, con importo della rata e periodicità modulabili, e dell'assenza di ipoteca.<br />
La legge di stabilità fornisce anche un "frammento" di disciplina civilistica di tale strumento, che dovrà poi essere integrata a livello contrattuale attingendo alla prassi già sviluppatasi in materia di leasing.<br />
<br />
L'intero articolo è consultabile a questo link:<br />
<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2016/01/15/abitazione-principale-leasing-legge-di-stabilita-2016">http://www.altalex.com/documents/news/2016/01/15/abitazione-principale-leasing-legge-di-stabilita-2016</a><br />
</div>
leasinglexhttp://www.blogger.com/profile/01558152323216154702noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-85962163761784286782016-01-11T10:39:00.000+01:002017-10-16T21:06:44.591+02:00Cass. Civ. Sez. III, 22/12/2015, n. 25732<div style="text-align: justify;">
<em>"Nel leasing finanziario l'acquisto del bene rappresenta un atto giuridico strumentale rispetto alla sua concessione in godimento, sicchè l'inadempimento del fornitore, consistente nella mancata consegna, rapportato al contratto di leasing, per il concedente costituisce incolpevole impossibilità sopravvenuta, di adempiere e per l'utilizzatore - nonostante ogni eventuale contraria clausola contrattuale, da ritenere invalida se esistente - esclude l'obbligo di corrispondere quanto sarebbe stato a suo debito ove avesse goduto del bene".</em><br />
<u></u><br />
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<u>Svolgimento del processo</u><br />
G.A. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Vicenza, la Palladio Leasing s.p.a. esponendo di aver convenuto con tale M.L. la fornitura di un autotelaio Iveco da allestire ad uso speciale carro attrezzi, stabilendo la consegna del bene per maggio 1988; che in conseguenza si era attivato per il pagamento tramite leasing ed aveva concluso il relativo contratto il 2 maggio 1988 con la Palladio Leasing s.p.a. firmando qualsiasi dichiarazione a lui sottoposta, anche quella di consegna del mezzo che in realtà non gli era stato consegnato; di aver atteso invano la consegna del mezzo ben oltre il termine concordato, pagando i canoni maturati in quel periodo; di aver poi scoperto che il M. si era reso inadempiente presso il suo fornitore, sicchè non sarebbe mai entrato in possesso del bene oggetto del contratto di leasing. Tanto premesso l'attore chiedeva che, previo accertamento dell'inadempimento del fornitore all'obbligo di consegna del bene, venisse dichiarata la risoluzione del contratto di leasing per impossibilità della prestazione a lui non imputabile e che conseguentemente la convenuta venisse condannata alla restituzione in suo favore dei canoni già corrisposti.<br />
<br />
Costituitasi in giudizio la Palladio Leasing s.p.a. affermava che lo stesso attore aveva firmato le dichiarazioni relative alla ricezione dell'automezzo ed aveva sollecitato il pagamento di essa esponente in favore del fornitore; che al contratto in esame si applicavano le norme di cui all'art. 1458 c.c. che prevedono, nell'ipotesi di risoluzione del contratto, il diritto di ritenere i canoni riscossi, fino alla risoluzione.<br />
<br />
In via riconvenzionale la convenuta chiedeva la condanna di G. A. al risarcimento del danno costituito dalla differenza tra il prezzo da essa pagato al fornitore e quanto da lui ricevuto.<br />
<br />
Ascriveva alla responsabilità dello stesso la verificazione del danno, atteso che il pagamento era intervenuto a seguito della ricevuta firmata dal G., attestante la consegna dell'autotelaio.<br />
<br />
Il Tribunale dichiarò risolto il contratto concluso fra le parti e, rigettata la domanda di restituzione dei canoni di leasing corrisposti, condannò G.A. al pagamento, in favore della società convenuta, della somma di L. 43.599.362, oltre accessori.<br />
<br />
Osservò il giudice di prime cure: 1) che andava dichiarata la risoluzione del contratto di leasing, non essendo contestato che l'autotelaio, oggetto della locazione finanziaria, non era stato consegnato dal fornitore all'utilizzatore G.; 2) che non poteva essere accolta invece la domanda di restituzione dei canoni versati dal G. giacchè, essendo applicabile al leasing la disposizione di cui <a ac00002806="" bd="" giuri="" href="javascript:kernel.go(" id:="" key:="" kind:="" main="" mask:="" menu:="" opera:="">all'art. 1458 c.c.</a>, prevista per i contratti di durata, la risoluzione del contratto non si estendeva alle prestazioni già eseguite; 3) che era fondata la domanda riconvenzionale della società convenuta, volta ad ottenere il risarcimento del danno ad essa derivato a seguito della risoluzione del contratto, quantificabile nell'ammontare delle somme che la società medesima aveva versato al fornitore in pagamento della attrezzatura oggetto del contratto, al netto delle somme già percepite tramite l'acquisizione dei canoni maturati.<br />
<br />
G.A. impugnò la relativa sentenza dinanzi alla Corte d'appello di Venezia proponendo querela di falso avverso le dichiarazioni di consegna prodotte dalla convenuta, indirizzate alla Palladio Leasing e da lui sottoscritte, assumendo che si trattava di fogli da lui firmati in bianco ed abusivamente poi riempiti.<br />
<br />
La Palladio Leasing contestò i motivi dell'impugnazione e della querela di falso e ne chiese il rigetto. Propose a sua volta appello incidentale chiedendo che venissero ad essa riconosciuti gli interessi sulla somma dovutale dal G..<br />
<br />
Fu disposta dal Collegio la sospensione del giudizio in attesa della definizione della causa sulla proposta querela di falso. Detta querela venne rigettata con sentenza del Tribunale di Vicenza, confermata in appello con sentenza dell'11 marzo 2010.<br />
<br />
La causa fu riassunta dal G..<br />
<br />
La Corte d'appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza n. 760/1995 del Tribunale di Vicenza ha condannato la Palladio Leasing s.p.a. al pagamento, in favore di G.A., della somma di Euro 10.008,37 oltre accessori; ha rigettato la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni proposta da Palladio Leasing s.p.a. e l'appello incidentale della stessa; ha condannato Palladio Leasing s.p.a. alla restituzione in favore di G. A. della somma di Euro 41.463,41, oltre accessori.<br />
<br />
Propone ricorso per cassazione Palladio Leasing s.p.a. con tre motivi.<br />
<br />
Resistono con controricorso G.A. e la s.r.l. Armando Gobbo.<br />
<br />
Le parti presentano memorie.<a diritto_up="" href="javascript:LinkReplacer.scroll("><br /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<u>Motivi della decisione</u><br />
<br />
Preliminarmente il controricorrente eccepisce l'inammissibilità del ricorso in relazione agli artt. 100, 300 e 328 c.p.c., essendo lo stesso proposto nei confronti di soggetto non effettivamente legittimato, in quanto estinto (impresa individuale G.A.), essendo subentrata nei suoi rapporti la s.r.l. Armando Gobbo ed essendo la circostanza nota a parte ricorrente, giusta comunicazione in data 10 settembre 2012.<br />
<br />
L'eccezione è infondata.<br />
<br />
Non sussiste infatti la eccepita inammissibilità essendosi verificata un'ipotesi di successione ai sensi dell'art. 111 c.p.c..<br />
<br />
In base al disposto di quest'ultimo, infatti, qualora nel corso del processo si trasferisca il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie.<br />
<br />
Il successore a titolo particolare può intervenire nel medesimo processo e, se le altre parti lo consentono, chiedere l'estromissione della parte originaria.<br />
<br />
La Gobbo Armando s.r.l. è subentrata nei rapporti della ditta individuale G.A. in forza di cessione di ramo d'azienda e la fattispecie rientra quindi fra quelle regolate dall'articolo sopra citato.<br />
<br />
In ogni caso la costituzione della s.r.l. Armando Gobbo, soggetto legittimato, ha avuto efficacia sanante, considerando anche che la controricorrente si è difesa nel merito ed ha quindi accettato il contraddittorio.<br />
<br />
E comunque manca la prova della spedizione e della ricezione del telefax in cui si comunicava che all'impresa individuale G. A. era subentrata la s.r.l. Armando Gobbo.<br />
<br />
Con la seconda eccezione di inammissibilità, in relazione all'art. 360 c.p.c. e art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6 il controricorrente ritiene che il ricorso avversario è carente del requisito di specificità e di autosufficienza e come tale non consentirebbe al giudice di legittimità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza della decisione impugnata.<br />
<br />
Anche tale eccezione è infondata in quanto i motivi del ricorso hanno caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla sentenza impugnata.<br />
<br />
Il rigetto delle eccezioni preliminari del controricorrente comporta l'esame nel merito dei motivi del ricorso.<br />
<br />
Con il primo motivo la Palladio Leasing denuncia "violazione della norma di cui all'art. 1526 c.c.".<br />
<br />
La ricorrente ritiene errata la sentenza della Corte d'appello nella parte in cui motiva l'applicabilità dell'art. 1526 c.c. anzichè quella dell'art. 1458 c.c., con il fatto che nel caso specifico si tratterebbe di leasing traslativo e non di godimento.<br />
<br />
Per la ricorrente l'art. 1526 è applicabile al solo caso in cui la risoluzione del contratto abbia luogo per inadempimento di colui che acquista a rate con riserva di proprietà; da ciò si deduce che la norma in esame non può essere applicata al caso in cui la risoluzione sia avvenuta per un inadempimento del fornitore.<br />
<br />
Nel suo caso, sempre ad avviso della ricorrente, andava applicato l'art. 1458 c.c., comma 1 il quale prevede che la risoluzione dei contratti a prestazione continuata abbia effetto solo ex nunc e che gli effetti della risoluzione non si estendano alle prestazioni già eseguite, quali le rate riscosse dalla concedente.<br />
<br />
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia "contraddittoria motivazione circa l'inapplicabilità dell'art. 1458 c.c. e sull'applicabilità dell'art. 1526 c.c.".<br />
<br />
Secondo la Palladio Leasing la motivazione della sentenza di secondo grado, che esclude l'applicazione dell'art. 1458 c.c. a favore dell'applicazione della disciplina di cui all'art. 1526 c.c., è contraddittoria. Essa infatti, da un lato afferma che la richiesta di risoluzione proviene dall'utilizzatore e dall'altro considera applicabile una norma che può riferirsi alla sola ipotesi di risoluzione richiesta dalla concedente per inadempimento contrattuale dell'utilizzatore.<br />
<br />
La ricorrente sostiene ancora che la sentenza entra in contraddizione nella parte in cui ritiene non applicabile l'art. 16 del contratto, in quanto la risoluzione non è stata chiesta dal locatore, ma è stata proposta dall'utilizzatore.<br />
<br />
Con il terzo motivo si denuncia "falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c.".<br />
<br />
Lamenta la ricorrente che la sentenza impugnata ha riformato la pronuncia di primo grado, ritenendo che la decisione del Tribunale sarebbe fondata sul richiamo all'art. 16 delle condizioni contrattuali e tale richiamo sarebbe stato effettuato extra petitum.<br />
<br />
I tre motivi, che per la stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.<br />
<br />
In tema di vendita con riserva di proprietà, l'art. 1526 c.c., applicabile alla fattispecie negoziale del leasing traslativo, prevede che nel caso in cui la risoluzione avvenga per l'inadempimento del compratore, debba essere riconosciuto al venditore - tenuto a restituire le rate riscosse - il diritto all'equo compenso per l'uso della cosa comprensivo della remunerazione del godimento del bene, del deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e del logoramento per l'uso, oltre al risarcimento del danno, eventualmente derivante da un deterioramento anormale della cosa. Ne consegue che il diritto all'equo compenso e quello al risarcimento del danno costituiscono autonome pretese, le quali, se esercitate nel corso del giudizio, necessitano di autonoma e tempestiva domanda (Cass., 10 settembre 2010, n. 19287).<br />
<br />
<strong>Va ribadita la tesi della invalidità di eventuali clausole che assegnino all'utilizzatore il rischio della mancata consegna e che nei contratti di leasing traslativo sussiste l'obbligo di buona fede e di cooperazione fra le parti contrattuali. Sussiste cioè un obbligo reciproco fra le parti di condotta secondo buona fede per cui anche parte concedente, avendo contezza che il verbale di consegna non era stato sottoscritto dopo l'effettiva consegna, avrebbe dovuto, per lo meno, chiedere conferma all'utilizzatore se, quantomeno a distanza di poco tempo, ciò fosse realmente avvenuto.</strong><br />
<br />
<strong>La scissione tra soggetto destinato a ricevere (dal fornitore) la prestazione di consegna e soggetto destinato ad adempiere (nei confronti del fornitore) l'obbligazione di pagamento del prezzo, non consente al concedente di pagare il prezzo indipendentemente dall'avvenuta consegna, ma giustifica, sulla base dell'art. 1375 c.c., che il concedente stesso possa fare affidamento sull'autoresponsabilità dell'utilizzatore nel ricevere la consegna dal fornitore, atteso che l'utilizzatore e il concedente hanno, nei confronti del fornitore, un interesse comune (sicchè su entrambi grava un onere di collaborazione)</strong>; pertanto, se il contratto di compravendita prevede che il fornitore consegni la cosa direttamente all'utilizzatore, e il contratto di leasing prevede, a sua volta, che l'utilizzatore la riceva, il concedente che resta obbligato al pagamento del prezzo, nell'adempiere, deve fare in modo da salvaguardare l'interesse dell'utilizzatore all'esatto adempimento, così come questi è, dal suo canto, gravato, nei confronti del concedente, dell'onere di comportarsi, rispetto al momento della consegna, in modo diligente, sicchè non ne risulti sacrificato, per altro verso, l'interesse che anche il concedente ha all'esatto adempimento da parte del fornitore, secondo un modello comportamentale comune improntato alla reciproca cooperazione onde conseguire l'esatto adempimento da parte del fornitore (Cass., 23 maggio 2012, n. 8101).<br />
<br />
<strong>Da ciò discende che l'operazione di leasing finanziario consta di due contratti, quello di leasing (che non è di credito ma di scambio) e quello di fornitura, i quali realizzano una figura di collegamento negoziale: l'acquisto del bene rappresenta dunque un atto giuridico strumentale rispetto alla sua concessione in godimento, sicchè l'inadempimento del fornitore, consistente nella mancata consegna, rapportato al contratto di leasing, per il concedente costituisce incolpevole impossibilità sopravvenuta, di adempiere e per l'utilizzatore - nonostante ogni eventuale contraria clausola contrattuale, da ritenere invalida se esistente - esclude l'obbligo di corrispondere quanto sarebbe stato a suo debito ove avesse goduto del bene.</strong><br />
<br />
In altri termini, consentire che il concedente, concluso il contratto di fornitura, possa pagare il prezzo anche indipendentemente dalla consegna da parte del fornitore e poi ottenere dall'utilizzatore quanto questi sarebbe tenuto a corrispondere quanto questi sarebbe tenuto a corrispondere ove avesse goduto del bene, non appare giustificabile nè in rapporto alla causa del contratto di leasing finanziario, nè in rapporto al dovere di esecuzione del contrato secondo buona fede.<br />
<br />
Correttamente l'impugnata sentenza si è attenuta ai suddetti principi di diritto, ritenendo che si è verificata la risoluzione del contratto per inadempimento del fornitore; ha accettato la tesi della consapevolezza della Palladio della mancata consegna da parte del fornitore all'utilizzatore ed ha addebitato alla medesima Palladio la responsabilità del danno ricevuto; ha accertato l'irrilevanza della clausola 16 del contratto perchè la stessa presuppone la responsabilità dell'utilizzatore sulla base della risoluzione chiesta dal concedente per causa a lui non imputabile, ma ha ritenuto che detta clausola sia inapplicabile perchè la domanda riconvenzionale era stata proposta come azione di danno per aver attestato una cosa non vera e non ex clausola 16 del contratto inter partes.<br />
<br />
Premessa la natura traslativa del leasing in oggetto che prevede, in caso di inadempimento del compratore, l'applicabilità dell'art. 1526 c.c., da ciò deriva che alla pronuncia di risoluzione del contratto segue il diritto dell'utilizzatore alla restituzione dei canoni versati; non compete invece alla concedente alcun equo compenso, non essendo stato l'autotelaio consegnato al G.; e comunque nessuna domanda è stata proposta dalla società di leasing per ottenere tale indennizzo.<br />
<br />
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.</div>
<div style="text-align: center;">
<br />
<u>P.Q.M.</u></div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.900,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.</div>
</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-61297022361868670782015-10-19T16:43:00.000+02:002017-10-16T20:45:28.033+02:00Cass. Civ. S.U., 26/05/2015 - 05/10/2015, n. 19785<em>"Leasing e vizi del bene: sui rimedi esperibili dall'utilizzatore, e sulla clausola generale di buona fede che impone alla società di leasing di agire per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo di compravendita"</em><br />
<br />
<a name='more'></a><br />
Svolgimento del processo - Motivi della decisione<br />
<br />
1 - Il processo.<br />
<br />
La S. & R. s.r.l. citò in giudizio la Car Diesel s.p.a., chiedendo la risoluzione, per inadempimento di quest'ultima, del contratto di fornitura di un autocarro collegato ad un contratto di leasing stipulato con Austria Finanza s.p.a.; autocarro poi risultato privo di una qualità essenziale, in quanto strutturalmente inidoneo ad ottenere l'autorizzazione ADR e la conseguente omologazione da parte del Ministero dei Trasporti. Chiese, altresì, la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni o, quantomeno, alla riduzione del prezzo di compravendita.<br />
<br />
Nella costituzione in giudizio di Car Diesel s.p.a. e previa riunione di questa causa ad altra da quest'ultima introdotta nei confronti della Marciar s.n.c. di C. E. & C., alla quale era stato dato incarico di allestire ed adeguare l'autocarro in vista dell'ottenimento della suddetta autorizzazione ministeriale, intervenne là sentenza con la quale il tribunale di Verona:<br />
<br />
dichiarò la risoluzione del contratto di fornitura per fatto e colpa della venditrice Car Diesel s.p.a.; condannò quest'ultima alla restituzione di quanto percepito nella vendita; respinse la domanda risarcitoria.<br />
<br />
Interposto gravame da parte della Car Diesel s.p.a., la corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarò la carenza di legittimazione attiva della S. &<br />
<br />
R. s.r.l., con conseguente rigetto di tutte le domande da questa proposte.<br />
<br />
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione S. s.r.l. (già S. & R. s.r.l.) sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso la Car Diesel s.p.a. S. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Nessuna attività difensiva è stata svolta dalla Marciar s.n.c..<br />
<br />
La terza sezione civile di questa Corte, ritenuto che la causa pone una questione di massima di particolare importanza, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Il Primo Presidente ha così disposto.<br />
<br />
2- Il motivo di ricorso.<br />
<br />
Con l'unico motivo di ricorso S. s.r.l. deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell'art. 1705 c.c., e delle disposizioni che presiedono all'interpretazione dei negozi giuridici ex art. 1362 c.p.c. e segg.. La corte di appello avrebbe erroneamente affermato la carenza della sua legittimazione attiva alla risoluzione della vendita sull'erroneo presupposto che l'esercizio diretto dell'azione contrattuale da parte dell'utilizzatore del bene in leasing nei confronti del fornitore, non derivando da una previsione generale di legge, sia ammissibile solo in presenza di specifica clausola contrattuale, nella specie inesistente.<br />
<br />
A corredo del motivo viene formulato, ex art. 366 bis c.p.c. (qui applicabile ratione temporis), il seguente quesito di diritto: "se vi è stata violazione e falsa applicazione dell'art. 1705 c.c., e dei criteri che presiedono all'interpretazione dei negozi giuridici in virtù dei quali nel contratto di locazione finanziaria all'utilizzatore è riconosciuta, quale effetto naturale connaturato all'operazione di locazione finanziaria stessa, una tutela diretta verso il fornitore per i vizi della cosa anche in assenza di specifiche clausole contrattuali, avendo ritenuto nel caso di specie la corte di appello di Venezia, nonostante la pacifica e documentata sussistenza della locazione finanziaria, il difetto di legittimazione attiva dell'utilizzatore, sul presupposto che la stessa dovesse avere la propria fonte in un patto contrattuale non rinvenuto agli atti del giudizio; dovendosi invece dichiarare sussistente la legittimazione attiva dell'odierna ricorrente quale utilizzatore nel contratto di locazione finanziaria intercorrente con la Car Diesel, con ogni conseguenza di legge".<br />
<br />
3 -L'ordinanza di rimessione.<br />
<br />
Con ordinanza interlocutoria del 4 agosto 2014, n. 17597, la Terza Sezione Civile di questa Corte ha chiesto l'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine alla questione di massima di particolare importanza, concernente - con riguardo ai presupposti sostanziali e processuali di applicazione dell'art. 1705 c.c., comma 2, alla locazione finanziaria - le azioni direttamente proponibili dall'utilizzatore nei confronti del venditore e, segnatamente, quella di risoluzione della vendita per inadempimento di quest'ultimo.<br />
<br />
Ha osservato il collegio che tale questione non può prescindere dalla considerazione della natura e della struttura del contratto di locazione finanziaria.<br />
<br />
In particolare, sotto il profilo della causa contrattuale, viene evidenziato che il conseguimento del bene nella disponibilità dell'utilizzatore è reso possibile dall'intervento del concedente;<br />
<br />
il quale, peraltro, esaurisce il proprio ruolo nel fornire il supporto finanziario necessario all'acquisto, restando sostanzialmente indifferente allo svolgimento della relazione materiale con il bene, sebbene ne sia divenuto formalmente proprietario. Ed, infatti, il concedente: non intrattiene rapporti con il fornitore diversi da quelli necessari a formalizzare l'acquisto, nemmeno nella fase della trattativa (occupandosi direttamente l'utilizzatore della scelta del bene da acquistare); non assume i rischi riconducibili a vario titolo al rapporto con la cosa (deterioramento, sottrazione, perimento, vizi, difetti funzionali, inidoneità all'uso previsto, mancata o incompleta consegna).<br />
<br />
Insomma, il concedente sostiene finanziariamente un'operazione che è definita da soggetti diversi nei suoi aspetti essenziali.<br />
<br />
Sotto il profilo della struttura del contratto, poi, l'ordinanza ritiene ormai superata la ricostruzione del leasing in termini di contratto unitario plurilaterale, preferendo dottrina e giurisprudenza fare riferimento alla figura del collegamento negoziale tra compravendita e locazione finanziaria. Tale ricostruzione, che non mette in discussione la causa unitaria dell'operazione economica, condurrebbe ad ammettere l'azione diretta dell'utilizzatore nei confronti del fornitore, seppure in presenza di alcuni presupposti e limiti, non sempre univocamente determinati, riconducibili al mandato senza rappresentanza di cui all'art. 1705 c.c., comma 2, laddove l'utilizzatore assume la veste di mandante, il concedente quella di mandatario (compiendo un'attività giuridica per conto dell'utilizzatore senza spenderne il nome) ed il fornitore quella del terzo.<br />
<br />
Sostiene, pertanto, l'ordinanza che:<br />
<br />
a) l'operazione economica che interviene tra concedente, utilizzatore e fornitore non da luogo ad un contratto plurilaterale, ma ad un collegamento negoziale tra un contratto di compravendita ed un contratto di locazione finanziaria, per effetto del quale l'utilizzatore è legittimato ad esercitare in nome proprio le azioni scaturenti dal contratto di fornitura. Con la conseguenza che la clausola derogativa della competenza, contenuta nel contratto di vendita ed espressamente approvata per iscritto dalle parti di quel contratto, deve ritenersi operante anche nei confronti dell'utilizzatore, in quanto clausola di trasferimento, facente parte del contratto dal quale l'utilizzatore deriva il suo potere di azione;<br />
<br />
b) "in caso di leasing finanziario - atteso che con la conclusione del contratto di fornitura viene a realizzarsi nei confronti del terzo contraente quella stessa scissione di posizioni che sì ha per i contratti conclusi dal mandatario senza rappresentanza (sicchè ai sensi dell'art. 1705 c.c., comma 2, il mandante ha diritto di far propri di fronte ai terzi in via diretta e non in via surrogatoria i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l'esecuzione dell'affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il mandante peraltro esercitare in confronto del terzo le azioni derivanti dal contratto stipulato dal mandatario volte ad ottenerne l'adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) - l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto" (in questo senso Cass. 27 luglio 2006, n. 17145), nonchè ancora all'accertamento dell'esatto corrispettivo spettante al fornitore;<br />
<br />
c) l'utilizzatore non è, invece, normalmente legittimato all'azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, salva la presenza di una specifica clausola contrattuale che trasferisca in capo all'utilizzatore la posizione sostanziale spettante al concedente. Legittimazione, peraltro, riconosciuta da alcune sentenze, le quali, facendosi carico del pregiudizio che la risoluzione del contratto di vendita potrebbe arrecare al concedente, configurano, a tutela di quest'ultimo e a garanzia della utilità della sentenza medesima, una fattispecie di litisconsorzio necessario che ne permetta la partecipazione al giudizio; litisconsorzio esteso anche all'azione di riduzione del prezzo della fornitura.<br />
<br />
L'ordinanza interlocutoria richiama, poi, la L. 14 luglio 1993, n. 259, di ratifica ed esecuzione della Convenzione Unidroit sul leasing finanziario internazionale stipulata ad Ottawa il 28 maggio 1988.<br />
<br />
L'art. 10, della menzionata legge - non applicabile nel caso all'esame della Corte ma pur sempre utile a fini interpretativi - stabilisce che gli obblighi del fornitore derivanti dal contratto di fornitura possono essere fatti valere anche dall'utilizzatore, pur non essendo quest'ultimo parte del contratto, anche se per l'annullamento o per la risoluzione del contratto di fornitura occorre in ogni caso il consenso del concedente. Il tutto, peraltro, nel quadro di una disciplina informata ad una maggiore tutela dell'utilizzatore nei confronti del concedente, laddove per il diritto interno è preclusa la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto di leasing per questioni inerenti alla cosa, nonchè la possibilità di far valere nei confronti del concedente l'inadempimento del fornitore.<br />
<br />
Si afferma, altresì, che qualsiasi soluzione interpretativa non può prescindere dalle conclusioni raggiunte da Sez. U, 8 ottobre 2008, n. 24772, secondo la quale "l'espressione diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato (art. 1705 c.c., comma 2), che accorda al mandante pretese dirette nei confronti del terzo contraente, va circoscritta ali 'esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, rimanendo escluse le azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento del danno)". Si tratta, beninteso, di una decisione non emessa in materia di leasing ma di portata generale, affrontandosi tutti gli aspetti della legittimazione sostitutiva del mandante, così come desumibili dall'art. 1705 c.c., comma 2, norma ritenuta ormai costituente "Il passaggio obbligato comunemente invocato per normativamente giustificare e definire, anche nella locazione finanziaria, le azioni contrattuali esperibili in via diretta dall'utilizzatore".<br />
<br />
Il collegio della terza sezione, peraltro, dubita che il decisum di Sez. U, n. 24772/2008, con riferimento all'attribuzione al mandante dei diritti ma non delle azioni, possa essere trasposto sic et simpliciter in materia di leasing in quanto significherebbe negare la peculiarità di tale istituto e la stessa sua perfetta sussumibilità sotto la disciplina del mandato senza rappresentanza. Ed, invero:<br />
<br />
a) con riferimento all'art. 1705 c.c., comma 2, l'utilizzatore, a differenza del mandante, ha un rapporto diretto con il fornitore (terzo nel rapporto di mandato), gestendo in prima persona, fin dall'inizio, il rapporto di fornitura e stabilendone discrezionalmente le condizioni;<br />
<br />
b) con riferimento all'art. 1706 c.c., il regime degli acquisti del mandatario poco o nulla si attaglia alla locazione finanziaria, nella quale il passaggio delle cose alla proprietà del mandante non avviene (se avviene) per rivendica (cose mobili) o per obbligo di ritrasferimento (immobili e mobili registrati), ma per esercizio del riscatto;<br />
<br />
c) la ratio ispiratrice di Sez. U, n. 24772/2008 è volta alla tutela del terzo: "ciò che osta all'accoglimento della tesi ammissiva della legittimazione diretta da parte del soggetto, il mandante, che pure ha acquisito i diritti negoziali e ne può fruire in guanto titolare sostanziale, è la preclusione a configurare nella specie in pregiudizio del terzo ed in violazione dell'articolo 1406 del codice civile - una cessione al mandante dell'intera posizione contrattuale formalmente costituitasi in capo al mandatario (...) senza consenso del contraente ceduto. Orbene, si tratta di un ostacolo che, nella locazione finanziaria, non sembra abbia ragione di esistere; dal momento che in essa il rapporto (ancorchè non unitario) viene purtuttavia ad instaurarsi ed a svolgersi nella piena consapevolezza e volontà di tutti e tre i contraenti; certamente incluso il venditore. Sicchè non vi sarebbe motivo di parlare di cessione contrattuale senza consenso del contraente ceduto, ma soltanto di esposizione del terzo (anche senza una specifica previsione pattizia) ad una legittimazione non soltanto non aliena, ma addirittura coessenziale al contratto da lui stipulato".<br />
<br />
L'ordinanza di rimessione osserva, altresì, che Sez. U, n. 24772/2008 non stabiliscono una regola assoluta, ma un semplice rapporto regola - eccezione, ragion per cui sarebbe sempre possibile far rientrare il leasing tra le ipotesi in cui la legge riconosce eccezionalmente all'utilizzatore - mandante la legittimazione sostanziale e processuale. Tuttavia, resterebbe il problema di stabilire quali sono le azioni che spettano all'utilizzatore e, segnatamente, se gli spetta l'azione di risoluzione, che potrebbe essere pregiudizievole per il mandatario-concedente.<br />
<br />
In realtà, sembra necessario al collegio della terza sezione contemperare, quale naturale conseguenza del collegamento negoziale, le diverse esigenze di tutela del concedente e dell'utilizzatore, pressappoco come avvenuto nel caso limitrofo del collegamento negoziale tra compravendita e mutuo di scopo, in cui è stato riconosciuto che, in caso di risoluzione del contratto di vendita per fatto imputabile al venditore, l'obbligo di restituzione al mutuante della somma ricevuta grava sul venditore e non sul mutuatario; e ciò in relazione al venir meno, in tale evenienza, dello scopo del contratto di mutuo. Allo stesso modo, lo scioglimento della vendita potrebbe comportare Io scioglimento della locazione finanziaria se fosse valorizzata la funzione economica non solo finanziaria, ma anche di scambio insita nel collegamento negoziale tra contratto di fornitura e leasing. Infine, viene evidenziato che la soluzione del litisconsorzio necessario con il concedente, affermata in alcune pronunce al fine di ammettere la risoluzione ad istanza dell'utilizzatore, non è soddisfacente, perchè "la sola partecipazione alla lite del concedente (quand'anche la si ritenesse necessaria) nulla sarebbe in grado di dire sui diritti contrattuali che, nel processo così soggettivamente esteso, possono trovare deduzione e riconoscimento".<br />
<br />
In tale situazione di incertezza interpretativa, è richiesto, pertanto, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.<br />
<br />
4 - La questione sottoposta alle Sezioni Unite - Premesse.<br />
<br />
La questione sottoposta alle Sezioni Unite può essere, dunque, così sintetizzata: se, in caso di leasing finanziario, l'utilizzatore sia legittimato - oltre che a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura e al risarcimento del danno conseguentemente sofferto - anche a proporre domanda di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, come effetto naturale del contratto di locazione finanziaria, oppure se tale legittimazione sussista solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale venga trasferita la posizione sostanziale, del concedente all'utilizzatore.<br />
<br />
Prima di procedere alla soluzione della questione occorre svolgere alcune premesse.<br />
<br />
Vanno dati per acquisiti una serie di concetti, nozioni e definizioni consolidatisi intorno al contratto del quale si discute, che, benchè atipico rispetto a quelli previsti dal codice civile, ha ormai trovato, nelle sue molteplici versioni, unanime definizione dottrinaria e giurisprudenziale, nonchè ripetuti riconoscimenti normativi. Va, dunque, ristretta la trattazione nei limiti del quesito posto alle Sezioni Unite e delle perplessità avanzate dall'ordinanza di rimessione rispetto ad un preponderante quadro dottrinario e giurisprudenziale che, come si vedrà in seguito (e come la stessa ordinanza ammette), non solo ha da tempo negato alla vicenda la natura di negozio plurilaterale ma, ravvisando un'ipotesi di collegamento negoziale (tra la vendita e la locazione), ha escluso che l'utilizzatore possa sperimentare verso il fornitore l'azione di risoluzione e quella di riduzione del prezzo.<br />
<br />
Altrettanto occorre premettere che, come meglio si spiegherà, la prassi mercantile ha di fatto risolto il problema attraverso la frequente stipulazione di atti ai quali partecipano le tre parti (soprattutto nel leasing immobiliare), oppure attraverso clausole contenute nel contratto di locazione con le quali il concedente trasferisce all'utilizzatore tutti i diritti e le correlate azioni che egli potrebbe sperimentare verso il fornitore.<br />
<br />
5 - Le azioni esperibili dall'utilizzatore in ipotesi di inadempimento del fornitore - Il risalente quadro giurisprudenziale.<br />
<br />
La chiave di volta della questione risiede nella configurazione strutturale del contratto del quale si discute, posto che, se lo si ravvisa come contratto unitario plurilaterale, è agevole farne discendere l'esperibilità dell'azione di risoluzione da parte dell'utilizzatore contro il fornitore, posto che quest'ultimo è considerato anch'egli parte del contratto di compravendita. Il problema si pone, invece, se l'interprete tiene ben distinti, nella vicenda, il contratto di vendita (tra fornitore/venditore e concedente/acquirente) e contratto di locazione (tra concedente/proprietario/locatore della cosa ed utilizzatore/locatario della stessa), pur riconoscendo l'indiscutibile collegamento esistente tra i due.<br />
<br />
In questa seconda ipotesi, il contratto di vendita è, per l'utilizzatore, negozio stipulato tra terzi (res inter alios acta) rispetto al quale egli non ha alcun potere d'incidenza; restando, comunque, da verificare se il riconosciuto collegamento negoziale conceda all'utilizzatore (come sostiene il ricorso in esame e pone in chiave problematica l'ordinanza interlocutoria) quel potere, compresa l'esperibilità da parte sua dell'azione di risoluzione del contratto di vendita, al quale egli non ha partecipato.<br />
<br />
Come s'è già visto in precedenza, una risalente giurisprudenza, proprio per risolvere positivamente il problema, tendeva a configurare la locazione finanziaria come un rapporto trilaterale, in cui l'acquisto ad opera del concedente va effettuato per conto dell'utilizzatore, con la previsione, quale elemento naturale del negozio, dell'esonero del primo da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l'utilizzatore, essendo quest'ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene che sarà oggetto del contratto e a stabilire le condizioni di acquisto del concedente, il quale non assume direttamente l'obbligo della consegna, nè garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, nè rimane tenuto alla garanzia per evizione (in tal senso, Cass. n. 4367/97, n. 6076/95, n. 5571/91).<br />
<br />
Così ragionando, si evitava di lasciare l'utilizzatore senza tutela, essendo comunque "abilitato ad esperire direttamente le azioni derivanti dalla compravendita del bene nei confronti del fornitore" (in questo senso si esprimeva la già citata Cass. n. 4367/97);<br />
<br />
azioni giustificate proprio dalla struttura trilaterale del rapporto e dal fatto che è l'utilizzatore (e non il concedente/proprietario, che si è limitato a finanziare l'operazione) ad avere intrattenuto rapporti diretti con il fornitore del bene oggetto del contratto.<br />
<br />
Più in particolare, Cass. n. 854/00, ponendosi appunto nell'ottica del contratto di leasing come contratto plurilaterale, osservava che, poichè la prestazione del fornitore va ritenuta essenziale nell'economia dell'affare ai sensi dell'art. 1459 c.c., non v'è possibilità da parte dell'utilizzatore di chiedere la risoluzione del contratto di fornitura per inadempimento del fornitore senza che venga coinvolto anche il concedente. Invero, "la locazione finanziaria dà luogo ad un'operazione giuridica unitaria, nella quale ognuno dei contraenti è consapevole di concludere un accordo con le altre parti interessate dall'affare; ciascun contraente assume volontariamente obblighi nei confronti delle altre due parti; il fornitore si obbliga, nei confronti del concedente, a trasferirgli la proprietà e, nei confronti dell'utilizzatore, a consegnargli il bene e a dargli le garanzie della vendita; il concedente si obbliga a pagare il prezzo del bene al fornitore e a consentirne il godimento ali 'utilizzatore; questi a sua volta si obbliga a rimborsare al concedente con gli interessi e le spese il finanziamento ottenuto.<br />
<br />
Nascono vincoli obbligatori incrociati tra loro nei quali la prestazione del fornitore è essenziale nell'economia del contratto, perchè è quella che soddisfa l'interesse di entrambe le altre, oltre che quello dello stesso fornitore a ricevere il prezzo; se essa viene meno, il contratto si scioglie rispetto a tutte le altre parti.<br />
<br />
La risoluzione del rapporto di compravendita chiesta ed ottenuta autonomamente dall'utilizzatore il quale consegua la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno pregiudicherebbe la condizione del concedente; questi oltre ad essere privato della garanzia rappresentata dalla proprietà del bene rischierebbe anche di non ricevere i canoni essendo venuta meno con la cessazione del godimento del bene la causa della contrapposta obbligazione dell'utilizzatore di pagare i canoni". Di qui la necessità della partecipazione al giudizio di risoluzione del concedente, che la sentenza riteneva rispondere all'esigenza avvertita anche dal legislatore, allorquando, con l'art. 10 della legge n. 259/1993, recependo la Convenzione Unidroit sul leasing internazionale, ha stabilito che l'utilizzatore, pur potendo agire direttamente nei riguardi del fornitore per l'adempimento del contratto di fornitura (comma 1), non può chiederne tuttavia la risoluzione senza il consenso del concedente (secondo comma).<br />
<br />
Questa sorta di litisconsorzio necessario nei confronti del concedente (nell'azione di risoluzione direttamente introdotta dall'utilizzatore contro il fornitore) sembrava, a siffatta giurisprudenza, un espediente capace di rimediare alla stridente anomalia dell'azione risolutiva concessa a chi non è stato parte del contratto da risolvere e che, nel suo esito positivo, necessariamente comporta la perdita in danno del concedente/proprietario/locatore non solo della proprietà (garanzia rispetto all'utilizzatore) ma anche dei canoni derivanti dalla locazione (sulla stregua di quest'orientamento si vedano anche Cass. n. 5125/04 e n. 11776/06).<br />
<br />
6 - Segue - L'evoluzione giurisprudenziale.<br />
<br />
La tesi del contratto unitario plurilaterale è stata, però, ben presto abbandonata dalla giurisprudenza a seguito della decisa critica della dottrina, iniziandosi a ricostruire, in accordo con questa, la struttura del contratto di leasing come ipotesi di collegamento negoziale. Secondo quest'idea, l'operazione di leasing finanziario consta di due contratti collegati tra loro: quello di leasing propriamente detto e quello di fornitura. "Questo collegamento, consistente in ciò che il contratto di fornitura, nel complesso dell'operazione, ha la funzione di mezzo per l'esecuzione di quello di leasing, risulta da più indici: la struttura del procedimento di formazione negoziale, in cui intervengono in varia sequenza le tre parti; la sussunzione, a contenuto del contratto di fornitura, di elementi individuati insieme dal fornitore e dell'utilizzatore; la circostanza che i contratti, di fornitura come di leasing, esplicitino, per solito, come ragione dell'acquisto del bene da parte del concedente sia la sua concessione in godimento all'utilizzatore che lo ha scelto, sia la previsione, contenuta nel contratto di fornitura, che la consegna del bene dovrà farsi dal fornitore direttamente all'utilizzatore" (così motiva Cass. n. 10926/98 e le fanno seguito Cass. n. 15762/00, n. 5125/04, n. 19657/04, n. 6728/05, n. 20592/07).<br />
<br />
In altri termini, il leasing finanziario "realizza un'ipotesi di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, quest'ultimo venendo dalla società di leasing concluso allo scopo, noto al fornitore, di soddisfare l'interesse del futuro utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa" (Cass. n. 17145/06). Ed il nesso di collegamento tra i due contratti viene normalmente in evidenza proprio "in virtù di clausole di interconnessione, per cui nel contratto di vendita tra fornitore e società di leasing viene convenuto che il bene oggetto del negozio sia acquistato allo scopo di cederlo in godimento al cliente della società (il quale in precedenza ha provveduto ad indicarlo specificamente) ed è previsto anche che il bene sia consegnato direttamente dal fornitore all'utilizzatore" (Cass. n. 16158/07, n. 9417/14).<br />
<br />
In quest'ordine di idee, s'è fatto ricorso alla disposizione dell'art. 1705 c.c., comma 2, (il quale attribuisce al mandante il diritto, in via diretta e non in via surrogatoria, di far propri di fronte ai terzi i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l'esecuzione dell'affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il mandante esercitare in confronto del terzo le azioni, derivanti dal contratto concluso dal mandatario, intese ad ottenerne l'adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) per dedurne che l'utilizzatore ha la legittimazione a far valere le azioni intese all'adempimento del contratto di fornitura ed al risarcimento del danno da inesatto adempimento (così Cass. n. 10926/98, n. 17145/06, n. 17767/05, n. 5125/04, n. 19657/04), con esplicita o talvolta implicita esclusione dell'azione di risoluzione.<br />
<br />
Sulla base della stessa premessa normativa, si è pure aggiunto che, in assenza di diversa pattuizione, con la consegna del bene dal fornitore direttamente all'utilizzatore e la conseguente sua accettazione da parte di quest'ultimo, sorge a carico dell'utilizzatore l'obbligo di pagamento dei canoni nei confronti del concedente e non possono a lui opporsi eventuali vizi, per quanto originali, del bene locato, che devono essere fatti valere con azione di garanzia unicamente nei confronti del fornitore. Invero, costituisce elemento naturale del negozio "l'esonero dal locatore di ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l'utilizzatore, essendo quest'ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene, che sarà oggetto del contratto, ed a stabilire le condizioni di acquisto per il concedente, per cui ogni vizio del bene dovrà essere fatto valere direttamente dall'utilizzatore nei confronti del fornitore, così come avviene nel caso di contratto concluso dal mandatario in nome proprio, ma per conto del mandante". Con la conseguenza che "l'utilizzatore non può far valere l'eccezione di inadempimento del fornitore, per vizio del bene locato, a norma dell'art. 1460 c.c., per rifiutare le proprie prestazioni nei confronti del concedente" (Cass. n. 19657/04).<br />
<br />
Per effetto di questa evoluzione giurisprudenziale s'è, dunque, ammesso che l'utilizzatore possa agire contro il fornitore per l'adempimento o per il risarcimento, ma s'è escluso categoricamente che possa agire anche per la risoluzione, tenuto, appunto, conto che a questa conseguono necessariamente effetti sulla sfera giuridica del concedente, con la determinazione dell'obbligo di restituzione del bene e della perdita del lucro dell'operazione di finanziamento.<br />
<br />
In particolare, si è sottolineato "l'emergere a tale stregua di una lacuna in merito alla disciplina applicabile al leasing finanziario in caso di risoluzione del contratto per inadempimento e in particolare relativamente ai rimedi dallo stesso utilizzatore esperibili nei confronti del fornitore. Lacuna da risolversi invero solamente caso per caso, la possibilità di esercitarsi da parte dell'utilizzatore l'azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing - cui esso è estraneo - dipendendo in realtà dalla sussistenza nel contratto di leasing di uno specifico patto al riguardo" (così, Cass. n. 17145/06 e n. 534/11).<br />
<br />
Quest'orientamento tiene a precisare (in risposta alla risalente giurisprudenza che pretendeva il litisconsorzio necessario del concedente in siffatta azione dell'utilizzatore contro il fornitore) che la questione attiene non già alla legittimazione passiva, ma alla "titolarità attiva, all'esito del previo accertamento in ordine alla previsione nel contratto di leasing di una clausola contemplante il suindicato pattizio trasferimento all'utilizzatore della posizione sostanziale originariamente propria della società di leasing acquirente"; con la conseguenza che "il relativo accertamento, soggetto ad eccezione di parte nei tempi e nei modi previsti dal codice di rito, spetta invero al giudice del merito".<br />
<br />
Anche Cass. n. 23794/2007, che pure riconosce la legittimazione dell'utilizzatore alla domanda di accertamento dell'esatto corrispettivo, nega, benchè implicitamente, la legittimazione di quest'ultimo alla domanda di risoluzione: "(...) deve - decisamente - escludersi che la domanda di accertamento (negativo) delle maggiori pretese fatte valere in via stragiudiziale dal fornitore e, quindi, in buona sostanza, di accertamento del corrispettivo in realtà spettante a quest'ultimo, possa identificarsi in una domanda di risoluzione contrattuale".<br />
<br />
7- La soluzione della questione.<br />
<br />
Benchè siano ormai numerosi gli interventi legislativi diretti a definire ed a regolamentare la vicenda negoziale della quale si sta trattando e, dal canto suo, la giurisprudenza (non solo di legittimità) sia stata finora tesa a studiarlo in maniera unitaria e formalistica, l'istituto della locazione finanziaria si presenta, invece, nella pratica mercantile, sotto forme e strutture diverse, di volta in volta adattate a realizzare i concreti e disparati interessi degli operatori economici, tradotti in formulari contrattuali che hanno soltanto alcuni punti in comune ma che, abitualmente, sono diversamente forgiati secondo le concrete esigenze in campo.<br />
<br />
E' così che nella generica denominazione di leasing si vanno a ricomprendere numerosissime figure contrattuali, ognuna avente la sua peculiarità, quali (solo per citarne alcune) il leasing traslativo e quello di godimento, il leasing operativo e quello al consumo, il leasing pubblico e quello finanziario immobiliare, il lease back e la locazione finanziaria di autoveicoli, navi ed aeromobili.<br />
<br />
Il dato comune a tutti è che, alla base, esiste un'operazione di finanziamento tendente a consentire al c.d. utilizzatore il godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all'apporto economico di un soggetto abilitato al credito (il c.d. concedente) il quale, con la propria risorsa finanziaria, consente all'utilizzatore di soddisfare un interesse che, diversamente, non avrebbe avuto la possibilità o l'utilità di realizzare, attraverso il pagamento di un canone che si compone, in parte, del costo del bene ed, in parte, degli interessi dovuti al finanziatore per l'anticipazione del capitale. Affiancata a questa v'è, necessariamente, un'altra operazione, quella tendente all'acquisto del bene del quale l'utilizzatore intende godere, ossia un'ordinaria compravendita stipulata tra fornitore e concedente, attraverso la quale il secondo diventa proprietario del bene che darà in locazione all'utilizzatore da lui finanziato. Proprietà che, soprattutto nel leasing traslativo (ossia quello che, come esito finale, prevede il trasferimento di proprietà dal concedente all'utilizzatore) ha la fondamentale funzione di garanzia a favore del primo, rispetto ai canoni che ha il diritto di percepire dal secondo.<br />
<br />
Nella grande normalità dei casi, è lo stesso utilizzatore/locatario a scegliere non solo il bene in tutte le sue caratteristiche, ma anche il fornitore, il quale ultimo è consapevole dei risvolti dell'operazione, ossia che la cosa viene acquistata dal concedente perchè questi la dia in godimento all'utilizzatore.<br />
<br />
Non v'è dubbio, dunque, che la vicenda è trilatera, nel senso che coinvolge necessariamente tre soggetti; così come è indubbio che tra i due negozi v'è un indispensabile collegamento, siccome la fornitura è effettuata in funzione della successiva locazione del bene compravenduto e la locazione presuppone che il locatore si sia procurato il bene che darà in godimento al locatario.<br />
<br />
Tuttavia, nessuno pone in discussione che i due atti mantengano la loro sostanziale autonomia, che l'utilizzatore sia terzo rispetto al contratto di fornitura ed, a sua volta, il fornitore sia terzo rispetto al contratto di locazione; laddove, invece, il concedente è l'unico, tra i tre, ad essere parte di entrambi gli atti.<br />
<br />
In quest'ordine di idee, la sottrazione della vicenda dall'ambito del rapporto plurilaterale e la sua sussunzione in quello del contratto collegato fa sì che le parti possano gestire separatamente i distinti rapporti contrattuali, secondo le rispettive funzioni, assegnando rilevanza giuridica a quelle sole interdipendenze che realmente condizionano l'attuazione dell'operazione economica.<br />
<br />
D'altronde, è la stessa prassi che ha preferito la strada del contratto collegato, tenuto conto che, per un verso, il contenuto del contratto di fornitura è di estrema rilevanza per l'utilizzatore nelle parti in cui si fissano le qualità e le caratteristiche del bene, le garanzie di conformità, gli obblighi di consegna, ma che, per altro verso, una serie di altri patti contenuti nel contratto di fornitura (si pensi, ad esempio, alle clausole relative al pagamento del prezzo) non generano interdipendenza e rimangono (o possono rimanere) estranee al regolamento contrattuale tra concedente ed utilizzatore.<br />
<br />
La stessa Convenzione di Ottawa, della quale s'è già fatta menzione, descrive la vicenda economica come incorporante due distinti contratti rispettivamente richiamati nelle L. n. 259 del 1993, comma 1, lett. a) e b), pone al centro dell'operazione il concedente e lo individua in colui il quale stipula sia il contratto di fornitura, sulla base delle indicazioni dell'utilizzatore, sia il distinto contratto di leasing con l'utilizzatore, "dando a quest'ultimo il diritto di usare il bene contro pagamento dei canoni". Peraltro, la Convenzione non parifica in radice le figure del concedente e dell'utilizzatore nei loro rapporti verso il fornitore, bensì ricorre alla tecnica dell'assimilazione, stabilendo che "Gli obblighi del fornitore in base al contratto di fornitura potranno essere fatti valere anche dall'utilizzatore come se egli fosse parte di tale contratto e come se il bene gli dovesse essere fornito direttamente" (art. 10).<br />
<br />
Così inquadrato, il contratto di leasing è un contratto meramente bilaterale stipulato tra concedente ed utilizzatore e collegato ad altro contratto bilaterale stipulato tra concedente e fornitore per l'acquisizione del bene oggetto del contratto a favore dell'utilizzatore.<br />
<br />
Nella pratica, il collegamento si realizza mediante apposite clausole previste in ciascuno dei due contratti. In particolare, nel contratto di leasing, quelle clausole: obbligano il concedente ad acquistare il bene già individuato dall'utilizzatore e descritto nello stesso contratto (anche mediante esplicito riferimento al contenuto del contratto di fornitura, che l'utilizzatore dichiara di conoscere ed approvare); cedono all'utilizzatore diritti futuri, ma determinabili perchè derivanti al concedente dal contratto di fornitura; obbligano il concedente alla futura cessione di eventuali diritti nascenti da responsabilità del fornitore. Nel contratto di fornitura:<br />
<br />
configurano l'utilizzatore (che nel contratto di leasing ha assunto tutti i rischi derivanti dalla fornitura oltre che dall'utilizzo del bene oggetto del contratto) quale beneficiario delle prestazioni inerenti alla produzione e messa a disposizione del bene, in conformità con le prescrizioni contrattuali e di legge già definite nel contratto di leasing. Così pure, nella pratica questo collegamento è talvolta ancor più esaltato attraverso la partecipazione dell'utilizzatore al contratto di fornitura. Soprattutto in area di leasing immobiliare il notaio usa costituire nel contratto di compravendita la "parte venditrice" (il fornitore), la "parte acquirente" (il concedente), nonchè l'altro soggetto che dichiara di intervenire nell'atto di compravendita in qualità di "utilizzatore" dell'immobile, oggetto del separato contratto di locazione finanziaria, ed al quale la parte venditrice, preso atto che l'acquisto viene effettuato dal concedente al solo fine di fargli utilizzare l'immobile, presta tutte le garanzie di legge, assumendo altresì nei suoi confronti le obbligazioni che - per legge o per convenzione - sono a suo carico in quanto parte venditrice. In siffatti contratti si aggiunge pure che:<br />
<br />
per la suddetta ragione, l'utilizzatore (riconosciuta la corrispondenza dell'immobile a quello da lui autonomamente prescelto ed individuato) potrà rivolgersi direttamente ed autonomamente alla parte venditrice in ogni sede per qualsivoglia reclamo o pretesa, relativi all'immobile, previa comunicazione scritta alla parte acquirente; l'utilizzatore manleva la parte acquirente da qualsiasi conseguenza derivante da vizi, difetti, irregolarità, inidoneità all'uso, mancanza delle qualità all'uso, mancanza delle qualità relativi all'immobile, agli impianti, alle pertinenze ed agli accessori dello stesso, nonchè per eventuali mendacità, irregolarità od imprecisioni delle dichiarazioni rese dalla parte venditrice nell'atto (così testualmente s'esprimono le più comuni clausole inserite nei contratti di compravendita di beni immobili destinati al leasing).<br />
<br />
E' proprio la presenza di siffatte clausole normalmente in uso nei moduli contrattuali che consente di configurare il contratto di fornitura alla stregua di un contratto produttivo di alcuni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore, senza necessità di ipotizzare la presenza di un mandato implicito al contratto di leasing volto ad assicurare all'utilizzatore i diritti di azione riconosciuti dalla legge al mandante nel mandato senza rappresentanza (art. 1705 c.c., comma 2).<br />
<br />
In questo senso, la pratica commerciale ha elaborato soluzioni idonee a conciliare le istanze di separazione funzionale e dei rischi, così da consentire la realizzazione dell'operazione economica attraverso il coordinamento che l'unitarietà di tale operazione e l'interdipendenza tra le prestazioni naturalmente generano.<br />
<br />
Volendosi, invece, porre al cospetto di ipotesi in cui nessuna clausola contrattuale consenta all'utilizzatore la sperimentazione dell'azione risolutiva del contratto di fornitura, non può eludersi la regola base in tema di effetti del contratto, ossia quella in virtù della quale il contratto ha forza di legge tra le parti, non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge e non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge. E' la regola della c.d. relatività del contratto, consacrata nell'art. 1372 c.c., in forza della quale è, in via di principio, da escludersi che, in mancanza di diverso patto o di specifica disposizione normativa, colui che non è stato parte del contratto di fornitura (l'utilizzatore) possa agire perchè il contratto stesso sia risolto; incidendo in una res inter alios acta e sortendo, così, l'effetto di privare il concedente della proprietà del bene locato e, dunque, della garanzia riservatasi a fronte del pagamento dei canoni di locazione.<br />
<br />
Questa regola, in specifiche ipotesi, è stata ritenuta derogata da un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie. Collegamento in senso tecnico per il quale è necessario che ricorra sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (il principio è consolidato e, tra le più recenti in tal senso, cfr. Cass. n. 11974/10).<br />
<br />
Non è qui il caso di approfondire in astratto il tema del collegamento negoziale, tuttavia il quesito posto alle Sezioni Unite presuppone (nell'impostazione sia del ricorso, sia dell'ordinanza interlocutoria) che ci si interroghi se, nella specifica vicenda in trattazione, ricorra un'ipotesi di collegamento negoziale in senso tecnico, in virtù del quale la validità e l'invalidità di un contratto si rifletta sull'altro in forma di reciproca interdipendenza. Ossia produca, in estrema sintesi, gli effetti di cui al brocardo del simul stabunt simul cadent.<br />
<br />
Orbene, sul punto occorre concordare con quell'autorevole dottrina la quale osserva che, dal punto di vista economico, l'operazione di leasing è sicuramente trilaterale, nel senso che i rapporti tra fornitore, concedente ed utilizzatore costituiscono un tutto unitario. Eppure, dal punto di vista giuridico, le cose stanno diversamente, siccome ci si trova al cospetto di due contratti (quello di compravendita e quello di locazione finanziaria) che, come s'è visto in precedenza, conservano la rispettiva distinzione, pur essendo tra loro legati da un nesso che difficilmente può essere considerato di collegamento negoziale in senso tecnico. Un collegamento tale, cioè, da comportare che la patologia di un contratto comporti la patologia anche dell'altro. E' pur vero che questi contratti sono legati da un nesso obiettivo (economico o teleologico), ma quel che manca, perchè possa ravvisarsi il collegamento tecnico, è il nesso soggettivo, ossia l'intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo comune. Non si può dire, infatti, che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà concesso in locazione dal compratore/concedente all'utilizzatore/locatario. Al contrario, il fornitore ha il mero interesse alla vendita del suo prodotto e la causa che regge il contratto da lui stipulato con il finanziatore/concedente è quella tipica del contratto di compravendita, ossia il trasferimento del bene in cambio del prezzo.<br />
<br />
Tant'è che, nella fisiologica evoluzione dell'operazione, il fornitore, una volta consegnato il prodotto all'utilizzatore, esce di scena, essendo assolutamente disinteressato allo svolgersi dell'altra vicenda che concerne la locazione stipulata tra concedente ed utilizzatore. Le circostanze, dunque, che sia proprio l'utilizzatore a scegliere il fornitore, a trattare con lui ed a ricevere la consegna del bene e che il fornitore, a sua volta, sia consapevole che l'acquisto da parte del committente sia finalizzato alla locazione del bene in favore del terzo utilizzatore sono del tutto esterne rispetto alla struttura stessa dei contratti che si vanno a stipulare e non sono capaci di mutarne la causa di ciascuna.<br />
<br />
Se è vero quanto finora osservato, è anche vero che lo stesso concedente, una volta determinatosi al finanziamento, è del tutto disinteressato rispetto alla scelta del bene e del fornitore effettuata dall'utilizzatore, posto che, qualunque essa sia, egli è garantito dalla proprietà del bene rispetto all'obbligo del pagamento del canone a carico dell'utilizzatore stesso.<br />
<br />
A conferma di quanto finora argomentato soccorre (oltre la menzionata Convenzione di Ottawa) il quadro normativo delineato dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. n. 385 del 1993), il quale, nei contratti di credito collegati ed in ipotesi di inadempimento del fornitore, non consente all'utilizzatore/consumatore (soggetto sicuramente meritevole di maggior tutela rispetto all'imprenditore) di agire direttamente contro il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura, bensì gli consente di chiedere al concedente/finanziatore (dopo avere inutilmente costituito in mora il fornitore) di agire per la risoluzione del contratto di fornitura; richiesta che determina la sospensione del pagamento dei canoni (art. 125 quinquies, il quale dispone pure che la risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria).<br />
<br />
Per le ragioni finora esposte deve escludersi pure che l'utilizzatore possa autonomamente esercitare contro il fornitore l'azione di riduzione del prezzo che, quale rimedio sinallagmatico, andrebbe a modificare i termini dello scambio nel rapporto tra concedente e fornitore.<br />
<br />
E' per tutte queste ragioni che le SU concordano con l'orientamento giurisprudenziale (la cui più approfondita analisi va rinvenuta nella già citata Cass. n. 17145/06) dal quale possono dedursi le due seguenti considerazioni:<br />
<br />
Tra il contratto di leasing finanziario, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest'ultimo) di soddisfare l'interesse dell'utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, si verifica un'ipotesi di collegamento negoziale (nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale) in forza del quale l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. Invece, in mancanza di un'espressa previsione normativa al riguardo, l'utilizzatore può esercitare l'azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale.<br />
<br />
Il relativo accertamento, trattandosi di questione concernente non la legitimatio ad causarti bensì la titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto.<br />
<br />
8 - La tutela dell'utilizzatore.<br />
<br />
Posto che il dibattito finora affrontato scaturisce dalla preoccupazione che l'utilizzatore, in assenza di clausole contrattuali che (come s'è detto) gli trasferiscano la posizione sostanziale del concedente rispetto ad ipotesi risolutive del contratto di fornitura (ipotesi che s'è verificata nella fattispecie in trattazione), rimanga sfornito di tutela, nell'inerzia del concedente, occorre affrontare anche questo tema.<br />
<br />
C'è, dunque, da chiedersi quali siano i rimedi esperibili dall'utilizzatore in ipotesi di vizi della cosa (oggetto sia del contratto del leasing, sia di quello di fornitura) in una vicenda contrattuale che, nella prassi mercantile, tende ad affermare (come s'è visto) l'esonero del concedente da responsabilità per vizi della cosa ed il corrispondente obbligo dell'utilizzatore di accertare la conformità del bene in sede di consegna (eventualmente rifiutandolo). Ciò a garanzia della separazione tra rischio finanziario e rischio operativo che sottende la vicenda economica in questione, la quale vuole che l'esecuzione del piano di ammortamento del credito sia indipendente da qualsiasi contestazione concernente la qualità e la conformità della fornitura. Ciò significa che, in forza di queste clausole, l'utilizzatore non può sospendere il pagamento dei canoni, nè ottenere la risoluzione del contratto di locazione.<br />
<br />
Trattandosi di discipline speciali, deve essere decisamente escluso che alla fattispecie possa farsi estensiva applicazione delle disposizioni contenute nella Convenzione di Ottawa, sul leasing finanziario internazionale, o nel TUB, a favore dell'utilizzatore/consumatore.<br />
<br />
La giurisprudenza unanime (così come la dottrina) riconosce all'utilizzatore il diritto di agire verso il fornitore per il risarcimento del danno, nel quale sono tra l'altro compresi i canoni pagati al concedente in costanza di godimento del bene viziato. A tale ultimo riguardo la responsabilità risarcitoria può farsi risalire, in via generale, a quella da lesione del credito illecitamente commessa dal fornitore che è terzo rispetto al contratto di locazione.<br />
<br />
Ma venendo più al fondo della questione, occorre distinguere l'ipotesi in cui i vizi siano immediatamente riconoscibili dall'utilizzatore da quella in cui gli stessi si manifestino successivamente alla consegna, tenendo soprattutto conto che il canone di buona fede agisce quale strumento integrativo dei contratti (art. 1375 c.c.). In questo caso, v'è l'obbligo dell'utilizzatore di informare il concedente circa ogni questione che sia per questo rilevante, così come v'è l'obbligo a carico del concedente di solidarietà e di protezione verso l'utilizzatore, al fine di evitare che questo subisca pregiudizi.<br />
<br />
Il primo caso deve essere equiparato a quello della mancata consegna, sicchè il concedente, una volta informato del fatto che l'utilizzatore, verificati i vizi che rendono la cosa inidonea all'uso, ha rifiutato la consegna, ha l'obbligo di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore, per poi esercitare, se ricorrono i presupposti di gravità dell'inadempimento, l'azione di risoluzione del contratto di fornitura, alla quale necessariamente consegue la risoluzione del contratto di leasing. Diversamente, il concedente corrisponderebbe al fornitore il pagamento di un prezzo non dovuto che, come tale, non può essere posto a carico dell'utilizzatore.<br />
<br />
Il secondo caso - quello dei vizi occulti o in mala fede taciuti dal fornitore ed emersi dopo l'accettazione verbalizzata da parte dell'utilizzatore - sicuramente consente all'utilizzatore di agire direttamente contro il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa. Ma, laddove ne ricorrano i presupposti, anche in questo caso il concedente, informato dall'utilizzatore dell'emersione dei vizi, ha, in forza del canone integrativo della buona fede, il dovere giuridico (non la facoltà) di agire verso il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche riverberantesi sul collegato contratto di locazione.<br />
<br />
In conclusione, si può affermare il principio in ragione del quale:<br />
<br />
In tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all'uso, occorre distinguere l'ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall'utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa perchè nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo.<br />
<br />
Nel secondo caso, l'utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso. In ogni ipotesi, l'utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente.<br />
<br />
9 - La causa in trattazione.<br />
<br />
Come s'è visto in precedenza, nella causa in trattazione l'utilizzatrice S. & R. srl ha citato la fornitrice Car Diesel spa per la risoluzione del contratto di fornitura per mancanza nella cosa delle qualità promesse in contratto in subordine, per la riduzione del prezzo. La sentenza impugnata ha dichiarato l'attrice priva di "attiva legittimazione" ed ha così respinto le domande, ritenendo che l'eventuale esonero del proprietario/concedente da ogni responsabilità per vizi della cosa debba risultare da apposito patto, non avendo fonte normativa. La sentenza ha pure aggiunto che l'attrice non ha nemmeno prodotto in giudizio il contratto di locazione finanziaria, sì da provare l'esistenza di un menzionato patto.<br />
<br />
Così decidendo la sentenza s'è adeguata ai principi di diritto sopra enunciati, con la conseguenza che il ricorso proposto dalla S. & R. deve essere respinto.<br />
<br />
La complessità della questione, che ha richiesto l'intervento delle SU, impone l'intera compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.<br />
<br />
<br />
P.Q.M.<br />
<br />
<br />
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.<br />
<br />
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2015.<br />
<br />
Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2015.Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-60222458767326750662015-10-01T16:02:00.000+02:002016-07-01T16:52:59.542+02:00Novità sui contratti di leasing ineseguiti nel fallimento<div style="text-align: justify;">
Segnaliamo un articolo pubblicato su Italia Oggi del 28/9/2015, inerente le novità in materia di contratti pendenti introdotte dal D. Lgs. 83/2015.<br />
<br />
Vi si legge che l'articolo 8 del decreto legge 83/2015, ha riscritto in gran parte l'articolo 169-bis l. fall. ora rubricato «contratti pendenti», introducendo diverse novità sul punto. <a name='more'></a>Tale norma ad oggi prevede che:<br />
"<em>Il debitore con il ricorso di cui all'articolo 161 o successivamente può chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato con decreto motivato sentito l'altro contraente, assunte, ove occorra, sommarie informazioni, lo autorizzi a sciogliersi dai contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data della presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta. Lo scioglimento o la sospensione del contratto hanno effetto dalla comunicazione del provvedimento autorizzativo all'altro contraente.<br />In tali casi, il contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato, ferma restando la prededuzione del credito conseguente ad eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali, dopo la pubblicazione della domanda ai sensi dell'articolo 161.<br />Lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta.<br />Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato nonché ai contratti di cui agli articoli 72, ottavo comma, 72 ter e 80 primo comma.<br />In caso di scioglimento del contratto di locazione finanziaria, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare al debitore l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale. La somma versata al debitore a norma del periodo precedente è acquisita alla procedura. Il concedente ha diritto di far valere verso il debitore un credito determinato nella differenza tra il credito vantato alla data del deposito della domanda e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato</em>".</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
Italia Oggi precisa che la richiesta di scioglimento può riguardare contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data di presentazione del ricorso ex articolo 161 l. fall. (quindi sia per la domanda piena che per la prenotazione), e che, come del resto anticipato dalla prassi presso più tribunali, l'autorizzazione non è automatica (quindi una mera formalità da parte del tribunale/giudice delegato) ma il tribunale, o il giudice delegato, dopo l'ammissione alla procedura provvede, con decreto motivato soltanto dopo aver sentito l'altro contraente e assunte sommarie informazioni ove ritenuto necessario. <br />
Per l'assunzione delle informazioni sommarie, ancorché la norma non lo espliciti, gli autori ritengono che non siano necessarie particolari formalità come sono invece necessarie per sentire l'altro contraente, il quale deve essere formalmente informato e convocato dinanzi all'organo al quale è stata rivolta la richiesta di scioglimento. <br />
Il terzo comma, aggiunto in fase di conversione del D. L. 83/2015, disciplina lo scioglimento del contratto di locazione finanziaria prevedendo che la società di leasing ha diritto alla restituzione del bene ma è tenuta a versare all'utilizzatore l'eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del medesimo bene a valore di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale. La società di leasing ha diritto a far valere verso il conduttore un credito, da soddisfare come credito anteriore al concordato, pari alla differenza tra il credito vantato alla data del deposito della domanda e quanto ricavato dalla nuova collocazione del bene. Come previsto dalle disposizioni transitorie del D. L. 83/2015 le nuove disposizioni si applicano alle istanze di scioglimento depositate dopo il 27 giugno 2015, data di entrata in vigore del sopraccitato art. 8. <br />
<br />
Qui l'articolo completo: <a href="http://www.italiaoggi.it/giornali/preview_giornali.asp?id=2022522&codiciTestate=5&sez=notfoundG&testo=&titolo=Il%20contratto%20ineseguito%20va%20incontro%20allo%20scioglimento">http://www.italiaoggi.it/giornali/preview_giornali.asp?id=2022522&codiciTestate=5&sez=notfoundG&testo=&titolo=Il%20contratto%20ineseguito%20va%20incontro%20allo%20scioglimento</a></div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-58946076494085049372015-06-16T21:05:00.000+02:002017-10-16T21:06:23.097+02:00Cass. civ. Sez. III, 29/04/2015, n. 8687<div style="text-align: justify;">
<i>Nel caso di risoluzione consensuale del contratto di leasing traslativo, si applicano in via analogica le disposizioni fissate dall'art. 1526 cod. civ. </i><i>Su tale orientamento non riverbera alcun effetto il nuovo art. 72 quater della legge fallimentare: in primo luogo perché</i><i> nel caso di specie l'art. 72 quater è stato introdotto diciotto anni dopo la stipula del contratto di leasing, e dodici anni dopo la risoluzione di esso, e l</i><i>a norma dunque, a tutto concedere, mai potrebbe incidere su situazioni esauritesi ben prima della sua entrata in vigore.</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i>In secondo luogo perché in ogni caso l'introduzione nell'ordinamento dell'art. 72 quater l. fall., non consente di ritenere superata la tradizionale distinzione tra leasing finanziario e traslativo: </i><i>pretendere infatti di ricavare dalla legge fallimentare le regole da applicare in caso di risoluzione del contratto di leasing presupporrebbe che la legge non disciplinasse questa fattispecie. In realtà così non è, perché proprio la presenza dell'art. 1526 c.c. (che è norma generale rispetto all'art. 72 quater) rende impensabile il ricorso all'analogia, per mancanza del suo primo presupposto, cioè la lacuna nell'ordinamento. Inoltre</i><i>, anche ad ammettere che nell'ordinamento vi fosse una lacuna, essa non potrebbe essere colmata con l'applicazione analogica dell'art. 72 quater l. fall.. Tale norma, infatti, non disciplina la risoluzione del contratto di leasing (art. 1453 c.c.), ma il suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell'utilizzatore. La norma fallimentare è dunque destinata a disciplinare una fattispecie concreta del tutto diversa da quella disciplinata dalla norma sostanziale (ovvero la risoluzione per inadempimento).</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i>Pertanto, mancando la eadem ratio, non è consentito all'interprete il ricorso all'interpretazione analogica.</i></div>
<div style="text-align: center;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: center;">
Svolgimento del processo</div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1. Il 27.7.1988 R.V. e la Romaleasing s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in Unicredit s.p.a., e come tale d'ora innanzi sarà indicata) stipularono un contratto di leasing avente ad oggetto una pala caricatrice modello "Fiat Allis".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2. I canoni di leasing dovuti per il periodo compreso tra dicembre 1991 e dicembre 1992 non vennero pagati.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 23.12.1992 l'utilizzatore R.V. morì.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3. Nel 1993, lamentando il mancato pagamento dei canoni, la Unicredit recedette dal contratto in virtù d'una clausola che le accordava tale facoltà. Oltre a recedere dal contratto, la Unicredit chiese ed ottenne dal Tribunale di Roma il decreto ingiuntivo n. 4392/93 del 25.2.1993, pronunciato nei confronti di R.V. ed avente ad oggetto il credito per canoni insoluti, oltre accessori.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4. Contro tale decreto proposero opposizione sia gli eredi di R. V. (ovvero R.G., Ro.Gi., Ro.Gi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
e P.N.), sia la società Viterstrade s.a.s. di Arduino Ganci.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nè la sentenza di primo grado; nè la sentenza d'appello, nè il ricorso per cassazione spiegano a quale titolo la Viterstrade s.a.s. abbia proposto l'opposizione al decreto ingiuntivo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
A fondamento dell'opposizione gli opponenti allegarono, per quanto in questa sede ancora rileva, che il leasing stipulato tra R. V. e la Unicredit doveva qualificarsi come "traslativo". Ad esso, di conseguenza, dovevano applicarsi le norme sulla vendita con riserva di proprietà, e tra queste l'art. 1526 c.c.. Pertanto, una volta avvenuta la risoluzione del contratto, la Unicredit non poteva pretendere il pagamento dei canoni insoluti, e doveva restituire quelli riscossi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5. Indipendentemente dal giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, R.G. con atto notificato l'8.2.1993 convenne dinanzi al Tribunale di Roma la Unicredit, chiedendo l'accertamento della nullità o dell'inefficacia delle clausole risolutive espresse contenute nel contratto di leasing stipulato dal proprio dante causa R.V.. In subordine chiese che, qualificato il contratto di leasing stipulato tra R.V. e la Unicredit come traslativo, per effetto della risoluzione la Unicredit fosse condannata alla restituzione dei canoni di locazione già riscossi, ai sensi dell'art. 1526 c.c..</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
6. I due giudizi vennero riuniti.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo una istruttoria protrattasi per dieci anni, con sentenza 28.1.2003 n. 2981 il Tribunale di Roma:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
(a) qualificò come "traslativo" il contratto di leasing stipulato tra R.V. e la Unicredit, e dunque soggetto alle previsioni dell'art. 1526 c.c.;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
(b) ritenne tuttavia che l'equo compenso dovuto dall'utilizzatore (e, per lui, dai suoi eredi) alla Unicredit, per effetto della risoluzione, si potesse determinare in misura pari ai canoni pattuiti, sicchè la Unicredit non aveva nulla da restituire;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
(c) revocò il decreto ingiuntivo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
7. La sentenza del Tribunale venne impugnata:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
(a) in via principale da R.G., il quale lamentò che l'equo compenso dovuto per l'uso del bene era inferiore alle somme che la banca doveva restituire (a causa della invocata nullità di varie clausole contrattuali), sicchè residuava un suo credito nei confronti di Unicredit;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
(b) in via incidentale dalla Unicredit, la quale contestò sia la qualificazione del contratto di leasing come "traslativo", sia i criteri coi quali il consulente tecnico nominato dal Tribunale aveva determinato in primo grado il valore residuo del bene, con valutazione condivisa dal giudicante.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
8. Nelle more del giudizio d'appello sopravvenne il fallimento della Viterstrade s.a.s. e di Ro.Gi., e la relativa curatela si costituì nel giudizio di appello.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
9. Nel giudizio di appello intervenne volontariamente la società Istituto Finanziario del Mezzogiorno - IFIM s.p.a., allegando che la Unicredit le aveva ceduto il proprio credito nei confronti degli intimati, e chiedendo anch'essa l'accoglimento del gravame proposto dalla Unicredit.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
10. La Corte d'appello di Roma con sentenza 11.5.2010 n. 2043 accolse l'appello principale di R.G. e rigettò l'appello incidentale della Unicredit; condannò quest'ultima società a pagare a R.G. circa 200.000 Euro, determinati detraendo dal coacervo dei canoni pagati dall'utilizzatore (che la banca era tenuta a restituire) il valore dell'equo compenso e l'ammontare dei danni patiti da Unicredit a causa del mancato guadagno e dei costi sostenuti per il restauro del bene oggetto del contratto.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
11. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dalla Unicredit, sulla base di sei motivi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nessuno degli intimati si è difeso in questa sede.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
Motivi della decisione</div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1. Il primo motivo di ricorso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Si assume violato l'art. 1526 c.c. "anche in relazione all'art. 72 quater legge fallimentare".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Spiega, al riguardo, che la Corte d'appello ha condannato la Unicredit a restituire agli eredi dell'utilizzatore i canoni di leasing riscossi prima della risoluzione del contratto, quale conseguenza di quest'ultima ai sensi dell'art. 1526 c.c..</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Sostiene tuttavia la ricorrente che l'art. 1526 c.c. non si applica al leasing, nemmeno a quello traslativo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tanto si desumerebbe in via interpretativa dall'art. 72 quater l. fall., il quale, nel disciplinare gli effetti del fallimento dell'utilizzatore, non fa nessuna distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento, ma prevede sempre e comunque l'obbligo del concedente di restituire il bene, lasciando al concedente il diritto di trattenere le rate riscosse.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da tale norma dovrebbe dunque trarsi l'indice della volontà del legislatore di "superare il meccanismo dell'art. 1526 c.c.", nel caso di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing. 1.2. Il motivo è infondato.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Da venticinque anni questa Corte viene ripetendo che nel caso di risoluzione consensuale del contratto di leasing traslativo, è "soggetta all'applicazione in via analogica delle disposizioni fissate dall'art. 1526 cod. civ."</b> (così Sez. U, Sentenza n. 65 del 07/01/1993, Rv. 480164; ma si veda già, in precedenza, Sez. 1, Sentenza n. 5573 del 13/12/1989, Rv. 464579; il principio è del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte: da ultimo, nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 19732 del 27/09/2011, Rv. 619401; Sez. 3, Sentenza n. 19287 del 10/09/2010, Rv. 615189; Sez. 3, Sentenza n. 73 del 08/01/2010, Rv. 610866).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.3. <b>Su tale orientamento non riverbera alcun effetto il nuovo art. 72 quater della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), introdotto dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 59</b>.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ciò per due ragioni.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.4. <b>La prima ragione è che nel caso di specie l'art. 72 quater cit. è stato introdotto diciotto anni dopo la stipula del contratto di leasing (avvenuta nel 1988), e dodici anni dopo la risoluzione di esso (avvenuta nel 1993).</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>La norma dunque, a tutto concedere, mai potrebbe incidere su situazioni esauritesi ben prima della sua entrata in vigore.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.5. <b>La seconda e decisiva ragione è che in ogni caso l'introduzione nell'ordinamento dell'art. 72 quater l. fall., non consente di ritenere superata la tradizionale distinzione tra leasing finanziario e traslativo, e le differenti conseguenze che da tale distinzione derivano nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Non lo consente per vari motivi.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>In primo luogo, pretendere di ricavare dalla legge fallimentare le regole da applicare in caso di risoluzione del contratto di leasing presupporrebbe che la legge non disciplinasse questa fattispecie. In realtà così non è, perchè proprio la presenza dell'art. 1526 c.c. (che è norma generale rispetto all'art. 72 quater cit.) rende impensabile il ricorso all'analogia, per mancanza del suo primo presupposto, cioè la lacuna nell'ordinamento.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>In secondo luogo, perchè anche ad ammettere che nell'ordinamento vi fosse una lacuna, essa non potrebbe essere colmata con l'applicazione analogica dell'art. 72 quater l. fall.. Tale norma, infatti, non disciplina la risoluzione del contratto di leasing (art. 1453 c.c.), ma il suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell'utilizzatore. La norma fallimentare è dunque destinata a disciplinare una fattispecie concreta del tutto diversa da quella disciplinata dalla norma sostanziale (ovvero la risoluzione per inadempimento).</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Pertanto, mancando la eadem ratio, non è consentito all'interprete il ricorso all'interpretazione analogica.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In terzo luogo, perchè la tesi sostenuta dalla ricorrente prova troppo: l'art. 72 quater l. fall., infatti, stabilisce che alle somme già riscosse dal concedente "si applica l'art. 67, comma 3" l. fall.: vale a dire che non possono essere travolte dall'azione revocatoria fallimentare. L'art. 67, comma 3, L. fall., tuttavia, è norma che sancisce la irrevocabilità di vari e molteplici atti e contratti, non solo di godimento come il leasing, ma anche di scambio come la vendita, ivi compresa quella con riserva di proprietà.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Pertanto, a seguire la tesi invocata dalla ricorrente, si dovrebbe di necessità ammettere che anche la risoluzione per inadempimento di uno qualsiasi dei contratti indicati dall'art. 67, comma 3, L. fall., non avrebbe effetti retroattivi, perchè anche per essi in caso di fallimento del solvens "si applica l'art. 67, comma 3, L. fall.". E l'evidente insostenibilità di tale conseguenza rende palese la fallacia della premessa.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1.6. Una conferma, ancorchè implicita, della conclusione appena raggiunta si può desumere dai due precedenti nei quali questa Corte, in giudizi nei quali si controverteva sul diritto dell'utilizzatore in leasing alla restituzione dei canoni, ex art. 1526 c.c., in seguito al fallimento dell'utilizzatore, ha ribadito senza alcuna ulteriore specificazione la validità della distinzione tra leasing traslativo e di godimento (così Sez. 3, Sentenza n. 17048 del 28.7.2014, non massimata; Sez. 3, Sentenza n. 19272 del 12/09/2014, Rv. 632261).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2. Il secondo motivo di ricorso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullità processuale, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Espone, al riguardo, che la sentenza sarebbe nulla per "incomprensibilità", nella parte in cui ha motivato la propria decisione di qualificare come "traslativo" il leasing stipulato dalla Unicredit con R.V..</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2.2. Il motivo è infondato.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La nullità della sentenza per mancanza assoluta di motivazione (art. 132 c.p.c.) può essere invocata quando una motivazione manchi del tutto, ovvero sia completamente inintelligibile.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel caso di specie, la Corte d'appello ha dedicato alla spiegazione delle ragioni per le quali ha qualificato il leasing come "traslativo" ben quattro cartelle (pp. 3-7), le quali non sono incomprensibili.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La Corte d'appello ha infatti spiegato che il principale indice dal quale desumere la natura traslativa del leasing è il valore residuo del bene che ne forma oggetto, calcolato al momento della scadenza del contratto, ed ha affermato che nella specie tale valore era rilevante.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Stabilire, poi, se tale valutazione sia stata corretta in facto è un accertamento di merito, non sindacabile in questa sede.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3. Il terzo motivo di ricorso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3.1. Anche col quarto motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullità processuale, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Lamenta, al riguardo, che la Corte d'appello non si è pronunciata sul motivo di gravame col quale l'Unicredit lamentava l'erroneità dei parametri utilizzati dal giudice di primo grado per la "quantificazione delle indennità" dovute dall'utilizzatore in conseguenza della risoluzione del contratto.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3.2. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. La ricorrente infatti non trascrive i motivi d'appello che si assumono non esaminate, nè spiega aliunde quali siano le "indennità" del cui erroneo calcolo si era doluta con l'atto d'appello.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4. Il quarto motivo di ricorso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.1. Anche col quarto motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullità processuale, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Espone, al riguardo, che la curatela del fallimento di Ro. G. (erede di R.V., utilizzatore in leasing) e quella del fallimento della Viterstrade s.a.s. si costituirono nel giudizio d'appello dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Poichè, tuttavia, il processo in primo grado era iniziato nel 1993, ad esso si applicava l'art. 293 c.c. nel testo vigente ratione temporis, norma che non consentiva la costituzione del contumace dopo che la causa era stata rimessa al collegio. La costituzione del "Fallimento Ro.Gi.", pertanto, doveva dichiararsi nulla, e la Unicredit non poteva essere condannata a pagare alcunchè alla curatela.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.2. Nella parte in cui lamenta la tardiva costituzione della curatela del fallimento Viterstrade s.a.s. il motivo è inammissibile per difetto di interesse, dal momento che la sentenza impugnata non contiene alcuna statuizione a carico di Unicredit ed in favore della curatela del fallimento della Viterstrade s.a.s..</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.3. Nella parte in cui lamenta la tardiva costituzione del fallimento di Ro.Gi. il motivo è fondato.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
E' la stessa sentenza impugnata a riferire, nello "svolgimento del processo", che "precisate le conclusioni e rimesse le parti avanti al collegio per la discussione, prima dell'udienza si è costituita la curatela del fallimento di Ro.Gi., per proporre domande di contenuto analogo a quelle dell'appellante principale".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tuttavia l'art. 293 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, stabiliva che "la parte che è stata dichiarata contumace può costituirsi in ogni momento del procedimento fino all'udienza in cui la causa è rimessa al collegio a norma dell'art. 189".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nella giurisprudenza di questa Corte è pacifico che la norma appena ricordata impedisca, una volta chiusa l'udienza di precisazione delle conclusioni, una successiva costituzione del contumace (Sez. 3, Sentenza n. 22618 del 11/12/2012, Rv. 624306; Sez. 3, Sentenza n. 11136 del 27/07/2002, Rv. 556342; Sez. 2, Sentenza n. 6905 del 04/06/1992, Rv. 477569, e via risalendo siano alla sentenza capostipite, Sez. 1, Sentenza n. 1286 del 23/04/1969, Rv. 339950).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4.4. La sentenza deve pertanto essere cassata sul punto, con rinvio alla Corte d'appello di Roma, la quale nell'esaminare nuovamente il gravame riterrà non costituita la curatela del fallimento di Ro. G.; ed ove quest'ultima si dovesse costituire nel giudizio di rinvio (il che è sempre consentito sino all'udienza di precisazione delle conclusioni anche nel giudizio di rinvio: Sez. 3, Sentenza n. 2285 del 25/06/1969, Rv. 341674), terrà conto che al contumace il quale si costituisca nel giudizio di rinvio è impedito in qualsiasi modo alterare o modificare la situazione processuale preesistente.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5. Il quinto motivo di ricorso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5.1. Col quinto motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3. Si assume violato l'art. 1292 c.c..</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Espone, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe errato nel condannare la banca al pagamento in favore degli eredi di R. V. in solido; e ciò in quanto la solidarietà attiva non può presumersi, dovendo invece risultare dal titolo dell'obbligazione.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5.2. Il motivo è fondato. Lo è per ragioni giuridiche diverse da quelle invocate dalla ricorrente, ma rilevabili da questa Corte in virtù del principio jura novit curia.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La Corte d'appello, infatti, non ha affatto pronunciato alcuna condanna solidale nei confronti degli eredi di R.V..</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L'affermazione di tale preteso vincolo solidale non risulta dal dispositivo della sentenza, non risulta dalla motivazione e non è altrimenti desumibile.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5.3. Tuttavia la Corte d'appello ha pronunciato una condanna della Unicredit al pagamento di somme di denaro in favore di soggetti ( Ro.Gi., P.N., la curatela del fallimento di Ro.Gi.) che erano rimasti contumaci nel giudizio di appello (ovvero, come nel caso della curatela, che si erano tardivamente costituiti), e che comunque non avevano proposto alcuna impugnazione avverso la sentenza di primo grado.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La Corte d'appello ha dunque attribuito ai tre soggetti appena indicati una utilità che essi non avevano invocato, pronunciando ultra petita.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nè ad essi poteva ovviamente giovare l'impugnazione di R. G., noto essendo che nomina haereditaria ipso iure dividuntur, e che di conseguenza crediti e debiti di R.V. verso la Unicredit, una volta caduti in successione, si sono necessariamente frazionati fra gli eredi in misura corrispondente alle singole quote ereditarie.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nè, infine, risulta che R.G. abbia mai dichiarato di appellare quale rappresentante degli altri coeredi, ovvero quale negotiorum gestor di essi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5.4. La sentenza andrà dunque cassata anche su questo punto, con rinvio alla Corte d'appello di Roma, la quale determinerà il credito di R.G., unico appellante, in misura corrispondente alla sua quota ereditaria.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
6. Il sesto motivo di ricorso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
6.1. Col sesto motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Si assumono violati gli artt. 1224 e 1526 c.c..</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Espone, al riguardo, che la Corte d'appello ha determinato il credito degli opponenti nei confronti della banca sottraendo, dal coacervo dei canoni che la seconda era tenuta a restituire, l'equo compenso per il godimento della cosa. Ha, quindi, maggiorato la differenza degli interessi di mora ex art. 1224 c.c., comma 2.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tuttavia, soggiunge la ricorrente, la Corte d'appello non ha "maggiorato con gli identici strumenti" il credito della Unicredit avente ad oggetto il pagamento dell'equo compenso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
6.2. Il motivo è inammissibile, per totale estraneità rispetto alla effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
6.3. Per determinare il credito di R.G., la Corte d'appello ha così proceduto:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
(a) determinato il valore nominale dei canoni di locazione che la Unicredit doveva restituire;</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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(b) ha determinato il valore nominale dell'equo compenso che l'utilizzatore doveva pagare alla Unicredit;</div>
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(c) ha sottratto il valore (b) dal valore (a), accertando l'esistenza d'un residuo credito a favore degli eredi di R.V., pari a 148.439,27 Euro.</div>
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Così determinato il capitale, la Corte d'appello ha calcolato la mora debendi, ritenendo sussistente la prova presuntiva d'un danno eccedente gli interessi legali, ai sensi dell'art. 1224 c.c., e liquidandolo in misura corrispondente alla svalutazione monetaria.</div>
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6.4. Questo criterio di calcolo del danno da mora è corretto.</div>
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La Corte d'appello infatti non ha rivalutato il capitale dovuto dall'utilizzatore al concedente, nè quello dovuto da quest'ultimo al primo: l'uno e l'altro, infatti, avevano ad oggetto obbligazioni di valuta, soggette al principio nominalistico di cui all'art. 1277 c.c..</div>
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Ha, invece, il giudice di merito rivalutato il saldo creditore risultato a favore dell'appellante, ma tale rivalutazione ha compiuto non già ai fini della determinazione del capitale dovuto (aestimatio), ma ai sensi dell'art. 1224 c.c., comma 2: cioè per determinare gli effetti della mora. Rispetto a questa decisione la pretesa della Unicredit, secondo cui la Corte d'appello avrebbe errato nel rivalutare solo il credito dell'utilizzatore e non quello della banca, è totalmente fuori quadro: sia perchè la Corte d'appello non ha affatto rivalutato il credito di R.G. in conto capitale, sia perchè il ricorso agli indici di rivalutazione calcolati dall'Istat è servito solo a liquidare gli effetti del ritardato adempimento. Dunque non vi è stata nessuna disparità di trattamento tra il credito di R.G. e quello della Unicredit: perchè solo il primo poteva vantare un saldo creditore nei confronti della seconda, e dunque solo il primo aveva diritto al pagamento della mora debendi.</div>
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7. Le spese.</div>
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Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 3.</div>
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P.Q.M.</div>
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la Corte di cassazione, visto l'art. 380 c.p.c.:</div>
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-) accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso;</div>
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-) cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione;</div>
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-) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-36247724725045987742015-04-23T11:22:00.001+02:002015-04-23T11:34:44.103+02:00Tribunale Roma, 2/3/15<div style="text-align: justify;">
Manca la prova dell'effettivo addebito di interessi usurari nell'ipotesi in cui venga genericamente eccepita la nullità del contratto di leasing, con riferimento alla clausola che regola la corresponsione di interessi moratori, e il contratto preveda una c.d. clausola di salvaguardia, ossia la riduzione dell'interesse moratorio nei limiti del tasso soglia in caso di intervenute variazioni del tasso pattuito all'epoca dell'inadempimento.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-17540995741632743742015-04-22T18:19:00.003+02:002015-04-22T18:19:52.911+02:00Tribunale Milano, 15/4/14<div style="text-align: justify;">
Il ricorso cautelare volto ad ottenere in via d'urgenza il rilascio dell'immobile oggetto di un contratto di leasing risolto per l'inadempimento dell'utilizzatore difetta del periculum in mora, nel caso in cui il ricorrente deduca le condizioni di difficoltà economica del proprio debitore, e quindi l'impossibilità dello stesso di far fronte alle spese di manutenzione ordinaria dell'immobile, ma non dimostri l'incuria della società resistente e il concreto rischio di deterioramento del bene.</div>
Lullabierhttp://www.blogger.com/profile/08274143947617975182noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6669725584390508542.post-82171244732660261332015-03-10T17:25:00.000+01:002015-04-22T17:47:46.701+02:00Trattamento contabile e fiscale in caso di cessione del contratto di leasing<div style="text-align: justify;">
Segnaliamo un articolo pubblicato su <i>Contabilità Finanza e Controllo - Rivista di gestione aziendale</i>, n. 06/2014, firmato da Giuseppe Rebecca e Michela Ceccon, inerente il trattamento contabile e fiscale nell'ipotesi di cessione del contratto di locazione finanziaria.</div>
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Gli Autori espongono anzitutto le novità in tema di cessione del contratto di leasing stabilite dalla Legge di Stabilità 2014, che ha reso più oneroso il trasferimento, dato che l'operazione, oltre ad essere assoggettata ad IVA, a partire dal 1° gennaio 2014 sconta l’imposta di registro con aliquota 4%. Il trattamento dell’imposta d’atto ai fini della fiscalità diretta è dubbio. Secondo l’Associazione Italiana Leasing, la soluzione preferibile è quella di considerarla come onere pluriennale da ripartire per la durata residua del contratto e deducibile fiscalmente nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio. Si auspica che il legislatore fornisca una precisazione al riguardo.</div>
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Successivamente viene sintetizzato il trattamento contabile e fiscale della cessione del contratto di leasing dal punto di vista del cedente e del cessionario.</div>
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Se il cedente è un imprenditore, la rilevazione dell’operazione non pone particolari problemi: al momento della trasferimento, egli si limita a rilevare una sopravvenienza attiva ex art. 88, comma 5, del TUIR, pari al valore normale netto del bene. Se invece il cedente è un professionista, è incerto se la sopravvenienza attiva, sì come determinata nell’ambito del reddito d’impresa, assuma rilevanza ai fini della fiscalità diretta. </div>
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Per quanto riguarda il cessionario, il trattamento ai fini contabili e fiscali dell’operazione è più complesso. Secondo quanto previsto dai documenti dell’Agenzia delle Entrate e della dottrina contabile che vengono illustrati, occorre dividere gli elementi prezzo di acquisto in due parti. Una parte è riferita al godimento del bene, l’altra all’acquisto del diritto di riscatto, e ciascuna di esse dev’essere assoggettata ad un trattamento fiscale e civilistico differenziato.</div>
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