"In tema di scioglimento per mutuo consenso, ai sensi dell'art. 1372 c.c., comma 1, del contratto di leasing traslativo, non trovano applicazione - neppure analogica - la disciplina legale o contrattuale della risoluzione per inadempimento imputabile all'utilizzatore, atteso che i contraenti hanno valutato confacente ai propri interessi non dare ulteriore seguito alla esecuzione del rapporto obbligatorio, ritenendosi soddisfatti dalla parziale attuazione del contratto. In tal caso il contratto solutorio puro - che non contenga ulteriori disposizioni concernenti il rapporto estinto - produce quale unico effetto quello della liberazione delle parti contraenti dall'obbligo di eseguire le ulteriori prestazioni ancora dovute in virtù del precedente contratto"
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3 dicembre 2019
31 ottobre 2019
Trib. Bergamo, 12/9/19
La legittimità della clausola risolutiva espressa inserita in un contratto di leasing deve essere giudicata assumendo come riferimento la L. n. 124 del 2017, anche se il contratto sia stato risolto prima dell'entrata in vigore di quest'ultima, in applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva. In particolare, una clausola risolutiva coerente con lo schema "canoni scaduti + canoni a scadere - bene" è conforme alla disposizione dell'art. 1 comma 138 della L. n. 124 del 2017: la mancanza, nel testo contrattuale, del riferimento alla necessità che la riallocazione del bene sia effettuata a valori di mercato non può infatti reputarsi una differenza rilevante, considerato che tale requisito va comunque ritenuto sussistente alla luce del parametro della buona fede contrattuale ex art. 1375 c.c.
1 ottobre 2019
Trib. Ancona, 19/9/19
L'art. 1526 c.c. non è applicabile ai contratti di leasing anche se stipulati prima dell'entrata in vigore della legge per il mercato n. 124/2017, in quanto si tratta di disciplina ad esso estranea. Il leasing, nella sua evoluzione giuridica, si è infatti man mano tipizzato assumendo forme del tutto peculiari e tipiche, sino all'introduzione della legge citata, la quale ha dettato una compiuta disciplina relativa a presupposti, effetti e conseguenze della risoluzione per inadempimento, oltre a norme di coordinamento con altre disposizioni che richiamano tale fattispecie contrattuale.
Fonte: IlCaso.it
24 maggio 2019
Trib. Torino, 22/3/19
E' reputata legittima la clausola risolutiva espressa che prevede, in caso di inadempimento del conduttore ed indipendentemente dalla natura del contratto di locazione, che il locatore abbia, oltre al diritto di trattenere i canoni già ricevuti, il diritto ad ottenere la liquidazione in via anticipata dei canoni a scadere, attualizzati, detratto il valore di vendita dei beni retrocessi, ciò non realizzando di per sé un indebito arricchimento di una parte in pregiudizio dell'altra.
Per l'effetto, deve essere accolta la domanda della concedente volta all'ottenimento della corresponsione dei canoni scaduti e non pagati sino alla risoluzione del contratto, con gli interessi legali dalle singole scadenze al saldo, dei canoni a scadere, con gli interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo, e del diritto di opzione ai sensi del contratto di locazione finanziaria, detratto il valore di mercato del bene oggetto del contratto di leasing provato dalla concedente sulla base di una relazione peritale (non essendo lo stesso ancora stato venduto o ricollocato).
16 aprile 2017
Trib. Vicenza, 28/3/17
In caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, una volta detratto il corrispettivo della rivendita dell'imbarcazione (o del reimpiego in locazione finanziaria dello stesso natante), l'acquisizione da parte della Concedente di tutti i canoni del leasing, scaduti e non pagati e a scadere (ivi compreso l'importo del prezzo concordato per l'esercizio della facoltà di acquisto alla scadenza), attualizzati al momento della risoluzione, da un lato, viene a configurare, in concreto, la mera restituzione del capitale investito, il riconoscimento degli interessi di mora convenuti, il rimborso delle spese sostenute ed il conseguimento degli utili dell'operazione finanziaria, secondo lo schema tipico del contratto di leasing e, dall'altro, ad escludere un indebito arricchimento della Concedente in pregiudizio degli Utilizzatori inadempienti.
Pertanto è valida la clausola risolutiva espressa contenuta nelle Condizioni Generali di Contratto che preveda il suddetto meccanismo, indipendentemente dalla natura, traslativa o di godimento, dello stipulato contratto di locazione finanziaria; è alla stessa clausola che deve farsi riferimento per la disciplina delle conseguenze derivanti dalla risoluzione del contratto di leasing, quale regolamentazione pattizia, pienamente valida, efficace e non vessatoria, prevalente sulla norma codicistica di cui all'art. 1526, comma 1, c.c., dettata in materia di vendita con riserva di proprietà.
19 gennaio 2017
App. Torino, 29/11/16
In caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore del contratto di leasing traslativo, ai sensi dell'art. 1526 c.c., al concedente deve essere riconosciuto un equo compenso per l'uso della cosa, il quale non può essere determinato nel mero valore locativo del bene, ma deve tenere conto anche del lucro cessante, ossia dell'utile non conseguito nel corso di tutto il rapporto in dipendenza della risoluzione anticipata dello stesso, il deprezzamento conseguente alla incommerciabilità del bene come nuovo e il logoramento per l'uso.
27 giugno 2016
Trib. Firenze, 5/5/16
Nel contratto di leasing le parti hanno piena facoltà di disciplinare autonomamente gli effetti della risoluzione contrattuale per inadempimento della parte conduttrice, in quanto, fermo restando il diritto al risarcimento del danno, possono anche convenire che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d'indennità, salvo il diritto del giudice di ridurre detta indennità.
Non può dunque trovare applicazione l'obbligo di restituzione dei canoni percetti, proprio perché paralizzato dall'indennizzo ammesso dal secondo comma dell'art. 1526 c.c..
(Occorre precisare che, conformemente a quanto previsto dall'art. 15 delle pattuizioni contrattuali, R., in sede monitoria, ha domandato il pagamento, oltre che dei canoni insoluti indicati nel ricorso per decreto ingiuntivo, maggiorati di interessi e spese, della penale convenzionale, pari ai 3/5 del totale dei canoni di locazione finanziaria (scaduti ed a scadere successivamente alla risoluzione del contratto) che sarebbero stati dovuti ove non fosse intervenuta la risoluzione de qua, evidentemente confidando di potere ricavare dalla futura vendita del bene già oggetto di leasing un importo sufficiente a coprire i 2/5 delle mensilità non contemplate dalla suddetta penale, evento che nel caso di specie non si è verificato, atteso che, come evidenziato, il ricavato della vendita si è rivelato insufficiente anche in relazione ai soli predetti 2/5 non domandati in sede monitoria, con conseguente certa congruità della menzionata penale convenzionale).
16 giugno 2015
Cass. civ. Sez. III, 29/04/2015, n. 8687
Nel caso di risoluzione consensuale del contratto di leasing traslativo, si applicano in via analogica le disposizioni fissate dall'art. 1526 cod. civ. Su tale orientamento non riverbera alcun effetto il nuovo art. 72 quater della legge fallimentare: in primo luogo perché nel caso di specie l'art. 72 quater è stato introdotto diciotto anni dopo la stipula del contratto di leasing, e dodici anni dopo la risoluzione di esso, e la norma dunque, a tutto concedere, mai potrebbe incidere su situazioni esauritesi ben prima della sua entrata in vigore.
In secondo luogo perché in ogni caso l'introduzione nell'ordinamento dell'art. 72 quater l. fall., non consente di ritenere superata la tradizionale distinzione tra leasing finanziario e traslativo: pretendere infatti di ricavare dalla legge fallimentare le regole da applicare in caso di risoluzione del contratto di leasing presupporrebbe che la legge non disciplinasse questa fattispecie. In realtà così non è, perché proprio la presenza dell'art. 1526 c.c. (che è norma generale rispetto all'art. 72 quater) rende impensabile il ricorso all'analogia, per mancanza del suo primo presupposto, cioè la lacuna nell'ordinamento. Inoltre, anche ad ammettere che nell'ordinamento vi fosse una lacuna, essa non potrebbe essere colmata con l'applicazione analogica dell'art. 72 quater l. fall.. Tale norma, infatti, non disciplina la risoluzione del contratto di leasing (art. 1453 c.c.), ma il suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell'utilizzatore. La norma fallimentare è dunque destinata a disciplinare una fattispecie concreta del tutto diversa da quella disciplinata dalla norma sostanziale (ovvero la risoluzione per inadempimento).
Pertanto, mancando la eadem ratio, non è consentito all'interprete il ricorso all'interpretazione analogica.
3 dicembre 2014
Tribunale Milano Sez. XII, 03/12/2014
Fonte: Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 11785 - pubb. 15/12/2014
La domanda dell'utilizzatore volta ad ottenere l'applicazione analogica dell'art. 1526 c.c. in caso di inadempimento, con il relativo diritto alla restituzione dei canoni versati, salvo equo compenso e risarcimento del danno per il concedente, è improponibile quando il bene concesso in leasing, e restituito a seguito della risoluzione, non sia stato ancora rivenduto dal concedente. Senza conoscere, infatti, quale possa essere il ricavato dalla vendita del bene o dal suo riutilizzo, secondo il valore commerciale che il bene abbia allo stato, manca un presupposto essenziale per applicare la disciplina pattizia regolante gli effetti dell'anticipata risoluzione del contratto convenuta fra le parti, con la prevista compensazione della posizione debitoria dell'utilizzatrice con le somme ricevute in utile dalla concedente e la possibilità di riattribuzione dell'eccedenza eventuale al debitore stesso, che sola possa fare apprezzare se sussista un indebito vantaggio in favore della società finanziaria che giustifichi la sostituzione della disciplina legale a quella contrattuale, e quindi il ricorso alla norma di cui all'art. 1526 c.c.
La domanda dell'utilizzatore volta ad ottenere l'applicazione analogica dell'art. 1526 c.c. in caso di inadempimento, con il relativo diritto alla restituzione dei canoni versati, salvo equo compenso e risarcimento del danno per il concedente, è improponibile quando il bene concesso in leasing, e restituito a seguito della risoluzione, non sia stato ancora rivenduto dal concedente. Senza conoscere, infatti, quale possa essere il ricavato dalla vendita del bene o dal suo riutilizzo, secondo il valore commerciale che il bene abbia allo stato, manca un presupposto essenziale per applicare la disciplina pattizia regolante gli effetti dell'anticipata risoluzione del contratto convenuta fra le parti, con la prevista compensazione della posizione debitoria dell'utilizzatrice con le somme ricevute in utile dalla concedente e la possibilità di riattribuzione dell'eccedenza eventuale al debitore stesso, che sola possa fare apprezzare se sussista un indebito vantaggio in favore della società finanziaria che giustifichi la sostituzione della disciplina legale a quella contrattuale, e quindi il ricorso alla norma di cui all'art. 1526 c.c.
12 novembre 2014
La clausola risolutiva espressa nei contratti di leasing: necessaria una revisione critica dell’orientamento giurisprudenziale tradizionale?
(Il presente articolo firmato da Andrea Vascellari, direttore di Leasing Lex, è stato originariamente pubblicato su FiloDiritto)
La recente pronuncia della Suprema Corte n. 888/2014 ha riportato l’attenzione di molti giuristi sulla problematica inerente le clausole risolutive tipicamente contenute nei contratti di leasing, ed in particolare sul possibile contrasto con l’articolo 1526 Codice Civile.
Diversi operatori del settore hanno semplicisticamente considerato questa sentenza come pietra tombale e definitiva su tale questione, a conferma dell’applicabilità in via analogica dell’articolo 1526 Codice Civile ai leasing traslativi (si vedano ad esempio IlCaso; SOS Banche). A ben vedere invece la Cassazione dice molto più, poiché prende in considerazione una clausola risolutiva differente rispetto a quelle affrontate in passato, e oggi molto diffusa nelle prassi delle finanziarie: la Corte afferma la necessità di una revisione critica dell’orientamento giurisprudenziale formatosi negli anni, e riconosce che l’applicazione dell’articolo 1526 Codice Civile va operata “con gli adeguamenti e i temperamenti del caso”.
19 maggio 2014
Tribunale Treviso 19/05/2014
La ratio dell’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. alle clausole risolutive espresse contenute nei contratti di leasing è solo quella di evitare l’ingiustificato pregiudizio che si verificherebbe per l’utilizzatore ove fosse consentito al concedente di ottenere un arricchimento indebito ed eccessivo, cumulando la somma di canoni incassati e da incassare al valore residuo del bene; ciò poteva verificarsi in presenza delle vecchie clausole in uso sino a qualche anno fa nella prassi commerciale (c.d. scaduto+scadere+bene).
La recente sentenza della Suprema Corte n. 888/2014 non afferma la nullità anche della diversa clausola c.d. scaduto+scadere-bene (che prevede per la concedente l’obbligo di riallocare il bene accreditandone all’utilizzatrice il ricavato), ma si limita a stigmatizzare la mancanza di termini prestabiliti e precisi per la riallocazione del bene, ponendo a carico del giudice di rinvio l’onere di valutare in concreto se la penale sia manifestamente eccessiva.
Eccessività che, nel caso di specie, va esclusa: da un lato la concedente ha limitato la propria domanda alla differenza tra credito vantato in forza della clausola penale e presumibile valore di realizzo del bene (sicché va esclusa ogni possibilità di locupletazione da parte sua), dall’altro non è stata allegata dall’utilizzatrice nessuna doglianza circa un eventuale comportamento negligente della concedente successivo alla restituzione del bene.
17 gennaio 2014
Cass. civ. Sez. III, Sent., 17/01/2014, n. 888
"le clausole contrattuali che attribuiscano alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, l'intero importo del finanziamento ed in più la proprietà e il possesso dell'immobile, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli che essa aveva il diritto di attendersi dalla regolare esecuzione del contratto, venendo a configurare gli estremi della penale manifestamente eccessiva rispetto all'interesse del creditore all'adempimento, di cui all'art. 1384 cod. civ. Nel valutare se la penale sia manifestamente eccessiva, infatti, il giudice è tenuto a comparare il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente con il margine di guadagno che egli si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto.
Al fine di evitare che clausole penali del tipo di quella in oggetto attribuiscano al concedente vantaggi eccessivi, occorre che sia specificamente attribuito all'utilizzatore - una volta restituito l'intero importo del finanziamento - il diritto di recuperare proprietà e disponibilità del bene oggetto del leasing, in termini prestabiliti e precisi (non mere e generiche facoltà, indeterminate nei tempi e nei modi e rimesse alla discrezione altrui); oppure il diritto di imputare il valore dell'immobile alla somma dovuta in restituzione delle rate a scadere, ove cosi le parti cosi preferiscano: sempre che le relative decisioni e scelte siano concordate e non rimesse all'arbitrio dell'una o dell'altra di esse"
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